Dovevate
vederlo, Vincenzo. Uno spettacolo. Ciuffo spettinato. Lingua tra i denti.
E la manina armata di forbici che inseguiva testarda i contorni di attori
e calciatori. Quando la mamma lo ha visto, tutto teso a ritagliare foto
dai giornali per incollarle su un quaderno, la risposta è stata veloce
come la domanda: «Che cosa sto facendo? Una cosa per i miei compagni di
scuola. A loro piace, io gliela vendo e i soldi li diamo per le Tende».
Mica male per un bimbo di sette anni, no? Eppure si può partire anche da
lì, dagli occhi e dal cuore di Vincenzo, per tentare un primo inventario
delle Tende di Natale 2000, promosse da Avsi (Associazione Volontari per
il Servizio Internazionale) e da Compagnia delle Opere. Gesto grande, come
al solito. Per l’aiuto che dà ai progetti Avsi sparsi per il mondo
(quest’anno si va da Salvador de Bahia alla Sierra Leone, dal Kazakhstan
a Corridonia, Italia), per i soldi che raccoglie (l’anno scorso, oltre 2
miliardi e 600 milioni), per il popolo che mobilita (qualche migliaio di
persone impegnate in 360 città). Ma anche e soprattutto per quello che
sta sotto a tutto questo. L’origine, anzitutto. E le ragioni. Roba che
non si conta e non si pesa, ma che pure deve contare e pesare parecchio,
se è capace di dare vita a qualcosa del genere. E deve essere semplice,
se può arrivare dritto al cuore di un bambino di sette anni. «E infatti
la ragione che ci muove è semplice», dice Guido Boldrin, responsabile
nazionale delle Tende, «si riconduce ai primi di Gioventù Studentesca
che andavano a fare caritativa in Bassa, tra i ragazzini delle cascine. È
da lì che è nato tutto. Dal fatto di dare credito all’indicazione di
don Giussani sull’imparare la carità. Che poi vuol dire imparare a
stare al mondo, perché la carità è lo sguardo che porto a mia moglie,
ai figli, al lavoro... Per qualcuno, questo ha voluto dire mettersi lì a
ripetere poco alla volta ciò che succedeva in Bassa. L’Avsi è nata così,
battendo la stessa pista e lo stesso metodo». E le Tende, naturalmente,
pure. «Solo che quest’anno l’aver insistito sull’origine ha dato
una mossa in più. Vedi, le Tende non sono un affare di massa: si gioca
tutto sulla libertà delle persone. Recuperare le ragioni aiuta. E
infatti, tanto per fare un esempio, si vedono gesti più curati e unitari».
Kermesse
extralarge
E allora, via a frugare tra le Tende, in un piccolo
giro d’Italia fatto di molte “kermesse extralarge”, di quelle grandi
e visibili a tutti (i cori alpini davanti alla stazione Cadorna di Milano,
le serate al circo, i banchetti alla Fiera dell’artigianato...), ma
anche di decine, centinaia di momenti più piccoli, magari sommessi, ma
altrettanto liberi e creativi. Perché se è vero che, come dice Massimo
Palumbo (responsabile Avsi in Sicilia), «l’immagine della tenda vera e
propria, con banchetto, volantini e cassa per le offerte, è un po’
superata», è vero pure che «il bene è contagioso e se trova chi è
disposto a comunicarlo, si diffonde in fretta e sorprende anche quelli che
l’hanno proposto». Parola di Ebe Domenichini, responsabile del
Mercatino della solidarietà di Cesena, cinque anni di storia e un gruppo
di amici (“Amici Avsi”, appunto) capaci di coinvolgere una sessantina
di signore romagnole per produrre gli oggetti che finiscono sulle
bancarelle natalizie, ma anche per ritrovarsi insieme tutto l’anno per
richiamarsi il significato di quello che si sta facendo: «Segno che
quando a muoverci non è solo la nostra generosità, che oggi c’è e
domani potrebbe non esserci, ma l’amore a Cristo, magari solo intuito,
ciò che facciamo diventa più vero e duraturo». Vero. Duraturo. E
quotidiano. Come è diventato il sostegno ai progetti Avsi nei posti dove
le Tende non sono un gran bazar da aprire a novembre e chiudere a febbraio
inoltrato, ma un lavoro che dura tutto l’anno. Esempi? Pescara e
l’Abruzzo. Qui dal ’98 le Tende vogliono dire anche una sede, due
segretarie, un indirizzo e-mail. E incontri, amicizie, rapporti. «Non si
tratta di timbrare il cartellino per un paio di mesi l’anno, ma di fare
un’opera», spiega Luca Censi, responsabile regionale Avsi. E un’opera
ha bisogno di radici solide. «A Natale conosci un sacco di gente, trovi
gli sponsor e magari tiri su pure tanti soldi. Ma se poi, durante
l’anno, questi rapporti non li curi, butti via tutto. E vai contro il
metodo che ci è stato insegnato. Perché è solo dentro un rapporto che
nasce una stima vera».
Adozioni
in carcere
Quando
succede, quando la stima accade, il rischio della routine è spazzato via.
«E si superano pure gli ostacoli. Stavolta non era mica facile fare le
Tende, sai? Ormai a Natale a raccogliere soldi sono in parecchi. E la
gente, dopo la Missione Arcobaleno, non si fida più...». Ma se si macina
lavoro tutto l’anno, se ai quindici posti dove si fanno i banchetti
natalizi si affiancano il torneo di calcetto (a primavera) e il concerto
al Conservatorio (marzo), il festival di teatro dialettale (fine gennaio)
o le cene aziendali (tutto l’anno), la diffidenza cade. La gente si
incontra. E si coinvolge. Come quella coppia di medici che ha chiesto di
partire per dare una mano a un progetto. O come don Marco, sacerdote di
Pescara, che quando è diventato parroco in un paese vicino ha chiesto
agli amici conosciuti attraverso l’Avsi di aiutarlo a fare la festa
patronale («E lì ora inizia la Scuola di comunità»). O come le
famiglie, le aziende e le associazioni che hanno fatto partire qualcosa
come 200 adozioni a distanza: «È un gesto geniale: è facile da spiegare
e permette di rafforzare stabilmente un’amicizia», spiega Censi. Deve
aver ragione, se anche Boldrin, quando gli chiedi qual è il fatto che
l’ha colpito di più delle Tende 2000, risponde secco: «I carcerati di
Fossombrone che hanno adottato dei bimbi a distanza perché lì dentro
insegna un nostro amico». E se pure in Sicilia molte delle cose più
grandi successe sotto le Tende sono legate alle adozioni: «La
Confcommercio intera si è mobilitata per sostenerle», racconta Massimo
Palumbo: «E il bello è che ci hanno cercato loro, non noi. Succede,
quando certi rapporti diventano amicizie vere e quando i gesti sono presi
sul serio». Va bene, ma che cosa vuol dire prendere le Tende sul serio?
Pausa. Silenzio. E poi: «Vederle come una provocazione a sé. Alla libertà
mia e di ciascuno. Condividere i bisogni è proprio questo: prendere sul
serio il proprio io. Perché non è che ci siamo noi su un piedistallo e
sotto i poveracci da aiutare: siamo tutti sulla stessa barca, grazie a
Dio...».
I
dipendenti dell’Autobrennero
Ecco
perché se cerchi di tirare le somme, e chiedi a qualcuno che cosa è
cambiato rispetto agli altri anni, ti senti dare una risposta semplice e
seria insieme: «Il cuore. Tutto lì. È cambiato il cuore di diverse
persone nel sentire che questo gesto appartiene a loro. E muovendosi in
prima persona, incontrano tanti, si fanno promotori di gesti e coinvolgono
gli amici. Poi in qualche punto si fa ancora fatica, ma ci si aiuta per
crescere insieme». A dirlo è Paolo Corradi, responsabile insieme a Marco
Stefanini del Trentino-Alto Adige. È lui che ti racconta di Vincenzo, il
piccolo editore «figlio di due nostri amici di qui». Ma anche delle 25
parrocchie che hanno permesso di fare i banchetti fuori da messa («È la
prima volta, in Trentino») e dei 600 dipendenti dell’Autobrennero che
hanno regalato un’ora di lavoro per sostenere un progetto; del Camper
Club di Bolzano, che ha girato alle Tende le entrate della gestione
dell’area comunale per camperisti; e dell’Argentario Calisio, B2 di
pallavolo, che ha regalato al progetto di Salvador de Bahia gli incassi di
una stagione sportiva. Fino alle cene con degustazione fatte in piazza a
Merano, con uno slogan («Conoscere il bisogno è anche conoscere la realtà
che ci circonda; e conoscere meglio ciò che mangiamo e beviamo, rende più
gustosa la vita») lungo quasi quanto la coda della gente che si è messa
a tavola. Un successo, insomma. Uno dei tanti. Ma il punto non è quello.
«Per noi la preoccupazione è un’altra. E viene prima ancora del
trovare i soldi; anzi è assieme a questa, ma la definisce. Vogliamo dire
a tutti di chi siamo e perché facciamo quello che facciamo. E aiutarci,
per come è possibile, ad accorgerci che siamo noi i primi ad avere
bisogno di guardare al senso della nostra vita e di riconoscerLo. Questo
rende possibile condividere il bisogno. E impararlo attraverso le Tende,
ci serve per diventare uomini». E grandi. Proprio come Vincenzo...
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