FINE

 

CAPITOLO ottavo

Accadde un mattino di luglio, c’era un sole lucido e un cielo azzurro accecante, e io avevo il cuore leggero e un’anima assorta, come se stessi partecipando ad un sogno non mio. Massimo aveva chiesto ad un’amica di prestarci la sua casa per fare l’amore. Io non avevo detto né no né sì, e avevo trascorso la notte a pensare come sarebbe stato, come mi sarei sentita, se sarei scappata o se sarei riuscita a lasciarmi andare.

Ci eravamo dati un appuntamento in centro, per poi prendere insieme un autobus che ci portasse fino a quella casa. Non voleva farlo di fretta dietro un cespuglio, o nascosti in qualche cantone buio, non avevamo la macchina nessuno dei due e non potevamo a casa nostra. Lui  viveva con sua madre e uno dei suoi due fratelli, io con mio padre e mio fratello, situazioni proibitive, che non ci lasciavano alternative. La sua amica invece viveva sola e aveva una casa grande, abbastanza da poterci ospitare per qualche ora.

Ero in imbarazzo, arrossivo ogni volta che lei mi rivolgeva la parola, eravamo lì per una sola ragione e io mi sentivo come se stessi rubando in un supermercato sotto la cinepresa di sorveglianza.  Mi aspettavo che di colpo lei mi urlasse quanto ero puttana e mi colpisse con un ceffone, non molto diverso da quelli presi da mio padre. Ma non accadde nulla del genere. Accadde invece che lei ci lasciò soli e uscì, noi entrammo nella stanza che ci aveva preparato, lui chiuse la porta a chiave e ci sedemmo sul letto.

La serratura chiusa mi dette un brivido di panico, ma non l’aveva fatto per trattenere me, piuttosto per assicurarsi che nessuno entrasse.

Razionalmente sapevo che ogni suo gesto era motivato solo dal tentativo di tranquillizzarmi, ma ero comunque in lotta con il mio panico, con quella sensazione insopportabile di essere una preda braccata dai cani.

- Non dobbiamo farlo per forza. Se non te la senti possiamo semplicemente starcene qui a parlare. - se mi leggeva il pensiero ero perdente da subito, e forse in questo somigliava anche troppo a Gabriele.

- Non ho detto che non voglio farlo. -

- No, non lo hai detto, ma ho la sensazione che tu ti senta come una martire nell’arena dei gladiatori! Non voglio che tu ti senta obbligata, devi fare quello che senti, non quello che io mi aspetto. -

- Tu cosa ti aspetti? -

- Mi aspetto che tu provi lo stesso desiderio di abbandonarti, di farti carezzare e amare. Ma se questo non accade oggi, non cambierà nulla. Ti vorrò bene ugualmente e non smetterò di sperare che tu abbia comunque voglia di stare con me. -

- Ho voglia di stare di con te. Ma ho anche paura di questa... cosa. Di questa prova... -

- Non è una prova. Non devi superare nessuna prova. E’ solo una conseguenza naturale del bisogno che abbiamo l’uno dell’altro, ma se il tuo bisogno è diverso dal mio devi solo dirlo. -

- Io credo... che dovrei volerlo. Credo che chiunque al mio posto dovrebbe desiderarlo, ma ho anche la sensazione di non poter superare la paura. -

- Hai paura di me o di quello che può succedere? -

- Di come mi sentirò, di quello che sentirò... -

Rimase in silenzio per qualche minuto, immaginai che cercasse le parole giuste per convincermi che sarebbe stato meglio di come mi aspettavo, e questo mi fece irrigidire ancora di più. Stavo annaspando in un panico assoluto, lanciavo sguardi ansiosi alla porta, poi alle sue mani, evitavo di guardarlo in faccia e intanto la tensione mi faceva sudare tra le gambe.

Mi si affollavano nella mente tanti di quei pensieri, più o meno stupidi.

Le mutandine dovevano essere umide, cosa avrebbe pensato? E avrebbe guardato il mio corpo completamente nudo per la prima volta, gli sarebbe piaciuto? E la sua amica era davvero uscita, o era dietro la porta ad origliare? Non avevo messo profumo, il mio odore era gradevole? Avevo fumato, la bocca sapeva di sigaretta, baciandomi che sapore avrebbe sentito? Avevo le mani gelate, se lo toccavo avrebbe avvertito una sensazione negativa?

Di colpo mi prese le mani e disse: - Facciamo una cosa. Adesso ci stendiamo sul letto e ce ne stiamo abbracciati, senza spogliarci. Questo ti fa sentire meno in pericolo? - feci cenno di sì con la testa, la lingua si era incollata al palato, non sarei riuscita ad aprire bocca altro che per gridare aiuto.

Mi prese tra le braccia e le sue dita mi scivolarono dietro la nuca, affondandomi tra i capelli, provai un brivido di tenerezza e mi strinsi a lui.

Mi baciò la fronte, poi le labbra, con una dolcezza che mi ricordò quella di Franco. Di colpo ero tra le braccia del mio amore, non lo feci razionalmente, semplicemente accadde. La mia mente era così abituata a immaginare le sue labbra, le sue mani e il suo corpo che quel meccanismo scattava mio malgrado e senza volerlo mi abbandonai alla fantasia di essere con lui.

Invece di essere un limite quella fantasia mi aiutò a lasciarmi andare, quando la sua mano scivolò sotto la camicia e mi raggiunse il seno destro, carezzandolo e stringendolo con delicatezza, io lo lasciai fare e provai un brivido di piacere. Accosto le labbra alle mie e mi baciò con passione.

Massimo aveva i baffi, Franco no, e il contatto con quella cosa ispida e pungente mi riportò alla realtà, mi irrigidii appena e lui credette che la tensione dei miei muscoli fosse dovuta al desiderio. Mi baciò sul collo dolcemente e la sua lingua mi sfiorò la pelle, lasciando una traccia umida dall’orecchio alla spalla. Aprì i bottoni della camicia, mi baciò i seni compressi nel reggipetto, mi mise le mani sui fianchi e io restai immobile, ansimando e pensando che dovevo fermarlo prima che fosse troppo tardi.

Invece gli presi la testa tra le mani e lo strinsi a me, la sua bocca mi mangiava il seno, poi le sue dita fecero scendere al stoffa fragile di una coppa e la mia pelle rabbrividì al contatto delle sue labbra. Un’onda di ansioso piacere mi fece sussultare, la sua lingua carezzava dolcemente l’aureola del capezzolo e tutta la carne mi bruciava improvvisamente. Tra le gambe provai un lancinante bisogno, una puntura di desiderio.

Aprì la bocca e addentò dolcemente la carne del seno, il mio sesso reagì violentemente, cominciò a pulsare, a gonfiarsi e ad inumidirsi. Passò all’altro seno, e il reggipetto scivolò fino alla vita. Non era sopra di me, e il fatto di non avere addosso il peso del suo corpo mi faceva sentire al sicuro, potevo sfuggirgli se volevo, ma non volevo, non più.

La sue mani mi carezzavano lentamente, come se mi stesse esplorando, i miei fianchi magri recepivano il calore e la tenerezza di quelle dita delicate e ne traevano un piacere nuovo, mai provato prima. Mi accorsi che mi toccava in un modo del tutto diverso da come mi toccava Franco. Il suo desiderio riuscivo a percepirlo fisicamente, era tangibile, intenso e assurdamente  rassicurante.

Infilò le dita sotto l’elastico della gonna, la fece scendere verso le gambe e mi carezzò il ventre, comprimendo il palmo della mano contro l’elastico degli slip. Quel contatto dette il colpo di grazia alle mie resistenze, il minuscolo muscolo che era stato motivo di tormento e di rifiuto per tanto tempo si prese la sua rivincita, spudoratamente si gonfiò e fece capolino tra le mie gambe, come a chiedersi se era finalmente giunto il suo momento. Serrai i muscoli per costringerlo a tornare nei ranghi, ma mi parve di avergli invece dato il mio benestare, perché si fece ancor più arrogante e lo sentii irrigidirsi e smaniare.

La mano di lui mi scivolò lentamente nell’interno delle gambe, come richiamata da quel perverso organo che di solito giaceva inerte e ben riposto tra la peluria. Lo sfiorò appena e quello si sentì autorizzato a farsi avanti, era rigido e teso come se gli avessero pompato dentro aria e disperatamente si protendeva all’esterno per farsi carezzare. Le dita di lui lo stuzzicarono, e subito la sua ansia divenne la mia, fui tutt’uno con quel mostruoso e potentissimo clitoride che di colpo era diventato la sola parte di me che avesse importanza. Il resto del mio corpo divenne strumento di quel dominatore, si fecero da parte la paura, la ragione e l’incertezza, lui voleva intensamente tutto ciò che gli era stato negato, e lo voleva subito.

Eravamo ormai seminudi e lui mi liberò dei pochi indumenti rimasti, si tolse la camicia, ma non aprì i pantaloni, forse per paura che io mi rifiutassi di continuare, e si stese su di me. Il peso del suo corpo mi tolse il fiato, la sensazione di oppressione e di terrore che si era fatta da parte insorse, mi traversò i muscoli, mi mise in allarme. Le sue mani continuavano a toccarmi e la sua bocca a baciarmi, era sopra di me e io tenevo le gambe strette, non gli avrei permesso di andare oltre.

Invece sentii le sue dita di nuovo tra le gambe, non c’erano più gli slip e il clitoride era scoperto, inerme, e ferocemente ribelle alla mia volontà. Di nuovo si fece avanti e sotto le sue carezze tornò ad essere tutta me stessa.

Avevo il sesso gonfio e umido, le sue dita lo stavano frugando, sentii che forzavano l’ingresso, tesi i muscoli, serrai le gambe, ma non riuscii a chiudermi del tutto. La sensazione di essere penetrata mi tolse il fiato, era più forte di qualsiasi ribellione del piccolo muscolo, era paura e rabbia, era rifiuto. Dominai il desiderio di urlare, di respingerlo, e cercai di non pensare a quello che stava facendo, di ascoltare solo la furiosa alchimia ormonale che si faceva largo tra le ombrose paure e i tremendi ricordi di una violenza mai dimenticata.

Ansimando di paura e di innegabile desiderio cercai di impedirgli di affondare troppo, se restava sulla soglia potevo sfuggirgli in qualsiasi momento, la memoria mi riportò indietro al giorno dello stupro, una delle sensazioni più terribili era quella di sentire quella cosa profondamente conficcata dentro di me, come un puntello irremovibile, e l’impotenza stava tutta nella mia impossibilità di espellerla. Va fuori da me, aveva urlato la mia mente.

Ma in quel momento non provavo la stessa sensazione, anche se temevo che di lì a poco non avrei più potuto sopportare la pressione delle sue dita dentro di me. Le tolse lentamente, come se avesse percepito il mio rifiuto, irragionevolmente rimasi delusa, non volevo che affondasse di più, ma neppure che andasse via del tutto. Aveva interrotto un pensiero che si stava facendo largo dentro di me, mi era affiorato come un sogno, e mi incitava a continuare, a lasciare che il mio amante mi esplorasse e capisse che laggiù, in quella apertura sofferente e ferita, c’era un estremo bisogno di tenerezza.

Mi baciò di nuovo sulla bocca e mormorò: - Passata la paura? -

- Non proprio. -

- Vuoi che smetta? -

- No. -

Avrei potuto dire sì, avrei potuto chiedergli di aspettare ancora, ma non sarebbe cambiato nulla, o saltavo il fosso o restavo impantanata nel terrore per il resto della vita. Presi fiato come se dovessi andare in apnea sul fondo del mare e chiusi gli occhi. Lo sentii armeggiare con i jeans, e quando tornò sopra di me non li aveva più. Il contatto con il suo corpo completamente nudo non aumentò il mio panico, temevo solo di avvertire la cosa immonda farsi largo tra le mie gambe e le tenevo ancora strette. Lui si girò sul fianco, mi tirò a sé e riprese a baciarmi e mentre lo faceva a me tornava in mente quel pensiero, volevo che mi frugasse ancora, che tornasse a toccarmi dove mi impedivo di sentire, perché ormai sapevo che non era possibile evitarlo.

Mi sollevò una gamba, se la mise sul fianco e mi accorsi che in quella posizione il mio sesso era del tutto indifeso, aperto e vulnerabile. Non mi opposi, dominando in senso di nausea prodotto dalla paura, ma il contatto con il suo sesso mi sembrò insopportabile, mi irrigidii cercando di riportare la gamba a contatto con l’altra per stringerle insieme intorno all’apertura spalancata.

Lui mormorò: - Non avere paura, non ti forzerò a farlo. Però prova a prendere confidenza con ciò che ritieni mostruoso. Non è stato creato per fare male e può darsi che tu riesca a ricrederti di quello che fino ad ora ne hai pensato. -

Ricredermi sul fatto che lo consideravo un arma brutale, che ne avevo paura e che non sopportavo l’idea che mi entrasse dentro?

Non potevo riuscirci, mi parve superiore alle mie forze. Ma comprimeva delicatamente il suo sesso contro il mio e quel contatto non era orribile come la mia mente mi voleva convincere che fosse. Era rigido, come quello di Franco quel giorno sulla spiaggia del Circeo, e la sensazione non era per niente diversa da quella che avevo provato nell’acqua, tenerezza mista ad esaltazione. Di nuovo inspirai aria e con gli occhi chiusi mormorai:

- Fai quello che devi... -

- Non devo fare nulla, non è necessario farlo ora... -

- Fallo e basta. Prima che ci ripensi. -

Mi posò le mani sui seni e dolcemente riprese a baciarmi, rinunciai a stringere le gambe, lasciai che lui provasse ad entrare, spingendo appena, come per paura di farmi male e quando finalmente decise di farsi largo io provai una sensazione che non somigliava affatto a quella che avevo provato con Claudio.

Era come se la fessura si fosse dilatata fino a raggiungere la misura giusta per lasciarlo passare, e non sentii dolore, solo una specie di sfregamento delicato, per niente allarmante. Affondò lentamente e io non potei evitare di paragonare quella sensazione a quella che avevo immaginato mille volte, era più intensa, travolgente come l’immaginazione non era stata in grado di produrla, e mi parve persino di poterla considerare piacevole.

Non durò a lungo, lui non poté trattenere il desiderio più di tanto e io ero così rigida e tesa ad ascoltare tutte quelle nuove sensazioni che non riuscii ad andare oltre il puro e semplice abbandono.

- E’ molto più di quello che credevo di poter sopportare. - gli dissi quando mi chiese scusa per non aver saputo aspettare il mio piacere.

- Vuoi dire che non credi di poter ottenere di più? -

- Temo di no. -

- Hai sentito parlare di orgasmo? -

- Sì, certo... -

- Ma non sai cosa sia, o sbaglio? -

- Io non ritengo di poter arrivare a quel punto, ma non ha importanza, mi basta aver superato la paura. -

- Ti basta. Non capisco. Non hai nessuna esperienza, sono d’accordo, ma da qui a stabilire che non cambierà mai... -

- Non ho detto questo. Ho solo detto che non credo di dover dare troppa importanza all’orgasmo, prima devo prendere... confidenza, come hai detto tu, con il resto. -

- Ma se non sai cosa ti stai negando, non avrai mai voglia di scoprirlo. -

Mi prese di nuovo tra le braccia e riprese a carezzarmi e a baciarmi, di nuovo mi toccò tra le gambe e mi frugò delicatamente, in cerca del clitoride impudico e voglioso, che era tornato a nascondersi nel suo cantuccio.

Mi tornò il sangue nelle vene, mi pulsò di nuovo tutto il sesso di desiderio, mi sentii ancora una volta pronta al sacrificio e questa volta senza nessuna paura, completamente abbandonata a quel rituale che non aveva più nulla di abominevole o di ripugnate. E non smise di carezzarmi e di tormentarmi finché non mi sentì perdere ogni controllo e abbandonarmi ad un orgasmo così intenso e violento che quasi restai senza fiato.

- Hai capito ora? - mi chiese a bassa voce, tenendomi stretta tra le braccia e cullandomi come una bambina. Sussurrai un sì che conteneva non solo l’affermazione di ciò che avevo compreso, ma anche la resa incondizionata al mio nuovo amore. Lui dominava quella parte di me che il mio precedente amore aveva tralasciato di conquistare, gli apparteneva completamente e con la prerogativa di essere il solo uomo ad averne accesso.

Mi parve quella la mia vera verginità, mi parve che in quel momento lui si fosse conquistato la sola cosa che non avrei mai concesso a nessuno, la mia sessualità. L’avevo repressa in mille modi, l’avevo detestata, avevo persino tentato di estirparla da me e lui invece se ne era appropriato, facendola affiorare senza nessuno sforzo, senza nessuna battaglia.

Uscendo da quella casa mi sembrò di aver di nuovo cambiato pelle, di essermi liberata non solo della paura, ma anche dell’avversione verso il mio sesso. Di colpo mi sentivo una miracolata e avevo estremo bisogno di parlarne con qualcuno.

Pensai a Gabriele, ma non avrei saputo raccontargli con naturalezza quello che era successo, con lui avrei provato vergogna, non perché temessi un giudizio morale, ma perché ritenevo che la mia intimità sessuale per Gabriele fosse qualcosa da sezionare al microscopio, come qualunque altro mio stato d’animo. Mentre io volevo parlare di sentimenti, quelle sensazioni provate per la prima volta erano così intense e così preziose che esisteva una sola persona che potesse capire e condividere il mio stato di grazia.

 

* * *

Era seduto ad un tavolo appartato, era più bello che mai, con addosso una polo rosso fiammante, i riccioli biondi scomposti e quel viso d’angelo così perfetto e affascinante. Entrai nel locale senza che lui mi vedesse, restai lì sulla soglia a fissarlo e a chiedermi come sarei riuscita a smettere di amarlo. La sua bellezza era quasi indecente.

Gli avevo chiesto di vederci quel pomeriggio stesso, senza aspettare il giorno dopo. Dovevo raccontargli la mattinata, dovevo raccontargli ogni cosa accaduta, ogni sensazione provata e avere la certezza che lui poteva comprendere il mio stato d’animo.

- Ciao. - sussurrai e lui alzò gli occhi, tenendo le mani intorno ad un bicchiere di birra ghiacciata, mi fece cenno di sedermi e mormorò: - Ciao. Tanta fretta di vedermi e poi arrivi in ritardo. -

- E’ tanto che aspetti? - scosse la testa, per dire che non aveva importanza, ma io pensai che fosse arrabbiato con me, forse per il ritardo, forse perché lo avevo costretto a correre da me alle tre del pomeriggio.

- Che succede? - chiese con l’aria di chi si aspetta una buona ragione.

- Ho qualcosa da dirti. Qualcosa che posso dire solo a te. -

- Davvero? Per farmi correre così deve essere importante... -

- Lo è. - ma le parole mi mancarono, e mi mancò il cuore, forse non dovevo raccontargli che avevo fatto l’amore con qualcuno che non era lui e che avevo provato un piacere così intenso che riuscivo finalmente a capire cosa mi ero negata fino a quel momento. Forse era ingiusto dirlo proprio a lui, ma lui mi aveva raccontato mille volte i suoi amplessi con i suoi amanti, e io ne avevo patito un senso tale di impotenza e frustrazione che forse avevo il diritto di non farmi quello scrupolo.

Mi guardava senza parlare, e io non riuscivo a sopportare i suoi dolcissimi occhi fissi su di me. Ordinai un gelato e finsi di non essere impaziente di dirgli cosa era accaduto, ma lui possedeva una dote che somigliava alla telepatia, o alla preveggenza, perché sussurrò:

- Sorellina, avete fatto l’amore? - sussultai e lo guardai senza rispondere.

Lui sorrise e mi parve di cogliere una piega amara sulle sue labbra, si tirò indietro, poggiando la schiena alla sedia. Scosse la testa e fissando il suo bicchiere vuoto, chiese di nuovo: - Hai fatto l’amore con lui? -

- Come lo sai? - sospirò e la sua espressione divenne triste, evitò ancora di guardarmi negli occhi e disse: - Beh, se vuoi saperlo... si vede. -

- Si vede? Da cosa... si vede? -

- Dai tuoi occhi. Hai un’altra espressione. Hai l’espressione estasiata di chi... di chi ha scoperto l’amore. - e il suo tono era così sofferto che pensai che sarebbe scoppiato a piangere.

- Io... - rise piano, come se improvvisamente trovasse ridicolo ciò che aveva detto e io non riuscii a dire altro.

- E’ stato dolce con te? E’ stato... paziente e tenero? Ti ha fatta sentire al sicuro? - feci cenno di sì con la testa, le parole non mi venivano, anche se avevo un bisogno irresistibile di parlare.

- Non sopporterei di sapere... che è stato anche solo sgarbato. -

- Non lo è stato. -

- Allora... questo è un addio. -

- Cosa vuoi dire? -

- Quello che tu non riesci a dire. E’ il nostro ultimo appuntamento, poi ognuno per la sua strada. -

- Non era questo che volevo dirti. -

- No? Cosa allora? Che torni da me? -

- Io... ho bisogno di te comunque. Non vedi? Ho avuto bisogno di vederti, per raccontarti... -

- Non voglio sapere nulla! Non voglio sentire! - fece per alzarsi e io gli afferrai un polso, per fermarlo.

- Non ti capisco. Perché fai così? -

Mi prese la mano e la strinse, poi con gli occhi lucidi disse: - Sono un egoista, un mostro di egoismo! Hai ragione se lo pensi. Sono geloso... è questa la verità! Sono geloso di lui. -

Non potevo combattere la mia ostinata infatuazione e il suo struggente affetto insieme, era troppo, era superiore alla mie forze, e lui non mi aiutava neanche un po'. Non volevo separarmi da lui, ma lui voleva tenermi solo per sé, e questo non era giusto. E le parole alla fine vennero fuori, con un rancore che non credevo di covare.

- Tu lo sai che ti amo. Ma io ho bisogno anche di lui... -

- Per fare sesso... -

- Quando eri tu a fare sesso con altri andava bene! Adesso che tocca a me sei geloso. E Michele? E Federico? Io non avevo diritto di essere gelosa di loro? Ti sei mai fatto scrupoli di raccontarmi le tue notti di fuoco con loro? Credi di non avermi mai fatto male? Credi che a me non facesse male? -

Avevo parlato tra i denti, con una rabbia che per lui doveva essere insopportabile, di colpo impallidì e prese a piangere.

- Ti prego, no! Le lacrime no! Non puoi risolvere sempre le cose piangendo! -

Ero esausta del suo amore, ero esausta di quel legame che mi toglieva il fiato, ed ero infuriata con lui, lo detestavo per la sua patetica reazione. Non riusciva a capire o si rifiutava di capire, mentre io avevo sperato che fosse felice per me e che volesse condividere la mia vittoria.

Perché sentivo di aver vinto una battaglia che né il suo amore né quattro anni di terapia psichiatrica mi avevano aiutato ad affrontare e volevo che lui sapesse come mi sentivo. Felice e orgogliosa di me.

Avevo tenuto la testa sotto la sabbia per troppo tempo, avevo avuto paura per troppo tempo e ora che tutto sembrava potersi risolvere lui mi ostacolava, piangeva come se io lo avessi offeso.

- Cosa dovrei fare secondo te? Avevi detto che era la cosa giusta, che condividevi la mia scelta. Ora ti rimangi tutto? -

- Mi sembrava di poterlo accettare... mi sembrava di riuscire a sopportare l’idea che tu amassi qualcun altro. Invece non è così. Siamo tutti egoisti, la bassezza delle nostre anime... -

- Oh senti! La bassezza tua o la mia non sono in discussione. E’ la mia vita che stai mettendo in discussione. E posso capire che tu abbia paura, ma non riesco a credere che sei geloso. Tu non mi hai mai voluta. -

- Lo ami? Dimmi che non lo ami, che è solo sesso e allora... -

- Se fosse solo sesso andrebbe bene? E se invece provassi qualcosa di più per lui? Se mi innamorassi di lui? Avresti da rimproverarmi qualcosa? -

- Non posso rimproverarti niente, sei ancora una bambina e lui si prenderà il meglio di te, a me resteranno le briciole. Mi odio adesso più di quanto mi sia mai odiato prima, per come sono, per quello che sono! -

- Mi sono innamorata di te perché sei quello che sei, e continuerò non so per quanto ancora ad amarti nello stesso modo e per le stesse ragioni. Ma devo guardare avanti, devo accantonare questa passione per te. Non capisci? Se resto con te non avrò mai altro che sogni. Io voglio vivere, lo voglio... quasi quanto ho voluto morire. -

Mi fissò di colpo spaventato, non sapeva nulla del mio tentativo di suicidio, non gliene avevo parlato, era un segreto tra me e Gabriele e nessun altro sapeva. Mi parve in quel momento che la mia vita avesse troppi segreti, che troppe cose appartenevano solo a me e non le avevo condivise con nessuno, neppure con lui. Ma avevo ancora troppi timori per liberarmi del tutto dei miei segreti.

- Devi permettermi di vivere, Franco. Ti prego. Se mi ostacoli non avrò la forza di lasciarti, ma nemmeno quella di continuare ad accontentarmi di stare ai margini della tua vita. Mi stai facendo del male... -

- E’ sempre così... rovino sempre ogni cosa. E le persone che amo le perdo tutte nello stesso modo. Lo so che sono... egoista, ma ho bisogno di te. -

- Io sono qui, resterò sempre qui. Non sparirò come Michele e non mi farò negare come Federico. Ma lasciami vivere. -

Fece cenno di sì con la testa e io pensai che stavo sbagliando tutto, che non avrei saputo arginare il suo bisogno di me e il mio amore per lui, che alla fine avrei rinunciato comunque a mettere da parte quell’amore inutile.

Era ancora troppo intenso quello che provavo per lui, si era affievolito solo il desiderio fisico, ma la passione che mi spingeva a considerarlo l’unico uomo della mia vita non era scemata. L’ostinazione nel volere a tutti i costi che mi amasse come la sua donna era ancora in agguato, solo la razionalità mi proteggeva dalla tentazione di lasciarmi ancora irretire dai sogni.

La mia forza di volontà era più determinata del cuore, l’avevo messa alla prova tante volte, dovevo far conto su di essa e sulle emozioni che mi sbocciavano dentro. Massimo era la salvezza, come lo era stato Gabriele, e in parte Franco stesso, ma questa volta dovevo essere io la mia salvezza, io che volevo, finalmente con tutta me stessa, vivere.

Mi guardò fisso negli occhi e scosse la testa, con un’aria di sconfitta che mi infastidì profondamente, ma non ebbi il coraggio di dire ciò che pensavo, attesi che parlasse lui e quando lo fece mi resi conto che avevo fatto bene a tacere. Con gli occhi ancora lucidi mormorò: - Non ti ho permesso di vivere finora, vero? Ti ho impedito di vivere come una persona normale? -

Ripensai a quante volte avevo toccato i margini della devianza, a quanti pensieri perversi mi aveva suscitato la passione per lui, a quante volte avevo desiderato qualcosa che era esattamente l’opposto della normalità.

- No, ho imparato tante cose grazie a te. Ho imparato a farmi carico dei miei limiti, delle mie difficoltà, della mia natura un po' deforme. Non è a causa tua se non sono riuscita ad avere una vita normale finora. Direi piuttosto che tu hai stimolato quella parte di me che rifiutava di comprendere la verità. -

- E qual è la verità? -

- Che io ho bisogno di tante cose, anche di te. Ma tu non sei la soluzione. -

- Lui lo è? -

- Non lo so ancora. La soluzione è dentro di me, sto rivendicando solo questo, il diritto di trovare la mia strada. Tu devi lasciarmi questa possibilità. -

- Non mi cancellerai dalla tua vita? - aveva davvero paura di questo, che io mi liberassi del tutto di lui e forse avevo pensato di farlo. Mi pesava la sua identità, come mi pesava ciò che avevamo condiviso. Così come mi pesava Claudio, mio padre e mia madre, i miei parenti e Gabriele. Mi ero accorta che portavo sulle spalle un fardello pesantissimo, c’era dentro del bene e del male, avevo cercato di liberarmene recidendo i legami che mi tenevano stretta a quella zavorra. Gettare a mare tutto, anche ciò che stato sarebbe utile, persino indispensabile, pur di non affondare, forse non era la soluzione. Ma in quel momento era solo una questione di “priorità”.

- Ho bisogno di staccarmi da te e ho bisogno di sapere che non devo rinunciare a me stessa per non perderti. Ho fatto l’amore, ed è stato come non mi aspettavo, più di quello che mi aspettavo. Volevo che tu lo sapessi, che condividessi con me questa vittoria. Una volta mi hai detto che sarei riuscita a smettere di amarti quando avrei cominciato ad amare lui. Da oggi so di amarlo, ma non ho smesso di amarti. Sono due cose diverse. -

- Lo so. -

- Sarà sempre così. -

- Sto cercando di convincermene. -

- Non sarà facile. Sono stata gelosa anch’io, e ho avuto paura anch’io. Mi hai insegnato tu ad accettare un amore così speciale, ora tocca a te. Dimostrami che quello che ho imparato da te è servito a qualcosa. -

- Hai avuto bisogno di me? Io so di aver avuto e di avere tuttora un disperato bisogno di te. Ma tu... -

- Io ho avuto molto da te, ho avuto molto da Gabriele, e da Barbara. Voi siete stati la mia famiglia. Ma adesso sento il bisogno di camminare da sola. Sta accadendo qualcosa che non credevo possibile, è come se io e la mia ombra ci fossimo ritrovate, ho vissuto senza una parte di me, privandomi di essa perché la rifiutavo e la cercavo in te, in Gabriele, in Barbara. Io devo riprendermi la mia vita, posso condividere con voi l’amore e l’amicizia, ma devo esistere... al di là di voi. -

Era questo che era accaduto, avevo finalmente trovato la parte smarrita di me, quella che aveva vissuto attraverso l’esistenza degli altri. Gli amori di Barbara, le certezze di Gabriele, le trasgressioni di Franco, mi erano serviti a tenere viva la mia ombra annichilita dalla rinuncia, a mantenere con essa un rapporto distaccato, che non mi coinvolgeva mai in prima persona. Non che questo meccanismo mi fosse chiaro in quel momento, ma era già percezione, una consapevolezza appena sospettabile di aver vissuto una vita filtrata dagli altri. Se non riuscivo a farglielo capire avrei dovuto strapparmi via dal cuore le radici del nostro inutile amore.

- Mi arrendo. Hai ragione, come sempre. -

- Mi dai ragione perché è la cosa più semplice? O ci credi davvero? -

- La mia scimmia è più ostinata della tua, anche se può sembrarti il contrario. Sto ancora cercando di cavare la banana attraverso il collo del vaso. -

Rise contraendo le labbra, ancora increspate dalla piega amara lasciata dalle lacrime e risi anch’io. Gli presi la mano e mormorai un grazie che valeva per tutto, per ciò che era stato e per ciò che mi aspettavo ancora da lui.

- Allora... sei uscita allo scoperto. Hai avuto la tua prima fulminante rivelazione dell’infinito potere del sesso. -

- Per ora ho solo capito cosa intendevi dire quando mi parlavi di “fuochi artificiali”. - rise ancora e strinse forte le mie dita tra le sue, poi si portò la mia mano alle labbra e la baciò, con un gesto antico e romantico.

- Fuochi artificiali. Come mi mancano! -

- Prima o poi ti succederà ancora. -

- E cosa ne pensi dell’arte pirotecnica di lui? -

- E’ molto prudente per ora e gliene sono grata. Ma promette bene -

- A sentirti parlare sembra che tu lo stia mettendo alla prova. -

- Non esattamente, ma mi aspetto qualcosa. Tu mi hai insegnato a gustare la vita giorno per giorno, a non fare progetti, a cogliere l’attimo fuggente... -

- Quante cose ti ho insegnato! - esclamò pieno di orgoglio e incredulità.

- Tante. Gabriele ha definito il nostro rapporto in tanti modi. Devastante, immaturo, inutile, perverso. Io ne ho un’idea diversa... -

- Cioè? -

- E’ stato un lungo viaggio, come quello che ho fatto in Canada. E ho scoperto un universo insospettabile, e grazie a quell’universo ho compreso il valore delle cose. Il mio valore, il valore della vita, quello dell’amore, quello dell’amicizia. Anche le cose negative alla fine sono servite, anche stare male, sentirmi impotente, o sconfitta, o troppo sola. -

- E sei arrivata alla fine del viaggio? -

- No, ma ho visto quasi tutto. Adesso che il mio orizzonte si è aperto, so cosa vuol dire essere... infiniti. -

- Dio, che bella frase! Tu dovresti fare la poetessa. -

- E’ una delle mie attività segrete! Per infiniti intendo che si può spaziare tra le sensazioni e i sentimenti, e ovunque e comunque cogliere il senso profondo delle cose. Basta non tracciare limiti a sé stessi. Io ho abbattuto molte palizzate, non sono ancora del tutto libera, ma ho smesso di difendermi a tutti i costi da tutto. Ti ricordi? Mi dicesti che la paura impedisce di vivere. E’ un’altra delle cose che ho imparato da te. Tu non hai paura di essere te stesso, non hai mai rinunciato a te stesso. -

- Mi piace sentirti parlare così. Mi piace pensare di essere stato così importante. - sospirò come se si fosse liberato di un peso, poi mi sorrise e mormorò: - Lo sarò ancora, se vuoi. -

- Lo sarai sempre. Ce lo siamo promesso e io mantengo sempre le promesse. - 

Cambiò il mio modo di sentire, cambiò la luce che mi splendeva dentro, divenne calda e rassicurante, nulla era più tagliente e doloroso, nulla sapeva più di sconfitta o di rinuncia, mi stavo lentamente riconquistando.

- Vuoi sapere la verità? - dissi rivolta a Barbara che per la prima volta ascoltava le mie confidenze condividendo e approvando le mie scelte. - Non è piacevole ammetterlo, ma la mia vita l’hanno fatta gli uomini. -

- Che vuoi dire? -

- Voglio dire che le figure più importanti della mia vita, nel bene e nel male, sono tutti uomini. Claudio, mio padre, Gabriele, Franco, Massimo, tutti uomini e tutti a modo loro mi hanno cambiata. Ognuno di loro mi ha dato qualcosa di sé. Claudio la violenza, mio padre la durezza, Gabriele... la perseveranza, Franco l’amore e Massimo la sessualità. Un mattone per uno... mi hanno costruita loro, a loro immagine e somiglianza, come Dio ha fatto l’uomo. -

- Se Nunni ti sente parlare così ti caccia dalla sede femminista. -

- Pensaci bene, neanche tu hai una figura femminile a cui fare riferimento. Tua madre è morta come la mia, quando avevi la mia stessa età. E hai un padre e tre fratelli maschi. Io e te siamo state cresciuti dagli uomini. -

- Sì, sono d’accordo, ma non a loro immagine e somiglianza. -

- Ne sei sicura? Hai mai avuto la sensazione di essere fuori posto tra le donne? Io sì, a volte non riesco a condividere quasi nulla con le altre e ho la sensazione che loro avvertano la mia estraneità. -

- Tu ti emargini da sola, tu sei... rigida, sei implacabile. -

- Forse è vero, come lo sarebbe un uomo. Dovrò fare i conti con questo. Ho impiegato anni a costruirmi una corazza da guerriero, adesso mi viene in mente che dovrei fare la cretina, fare capricci, comportarmi come una bambina viziata. E’ giusto che mi riprenda una femminilità che ho rifiutato, oppure devo continuare ad affilare la spada? -

- Se è un consiglio che vuoi posso dirti solo che non voglio che tu cambi. Mi piaci troppo come sei, così dura, così impermeabile, così decisa. -

- Non so cosa ne pensa lui. Mi accetterà con questa indole “implacabile”? -

- Se ti ama, sì. -

- L’amore. Quanto dura l’amore? Esiste davvero un sentimento tanto forte da sopportare qualsiasi insidia? Io non ci credo. -

- Beh, devi almeno provarci. Gabriele direbbe che non devi pontificare, aspetta che la vita ti venga incontro e comportati come ti dice il tuo istinto. Non hai imparato la lezione? -

- Sì, l’ho imparata, ma lui mi ha anche insegnato a valutare le conseguenze, ad agire in modo da non accettare compromessi e non pagare un prezzo troppo alto. -

- Fino a che punto sei disposta a rischiare? -

- Non lo so ancora. Per ora non ho le idee chiare, sono solo sensazioni, terrò in sospeso questa decisione, finché non saprò se ne vale la pena. -


 

* * *

Ci vollero molti anni, molta esperienza, molta fiducia e anche molta buona volontà, ma ne è valsa la pena, e ho scoperto che l’amore può sopportare qualsiasi insidia e può durare molto, molto a lungo.

Non mandai in pensione del tutto il mio guerriero e non riabbracciai completamente l’idea di femminilità che avevo accantonato. Il giusto sta sempre nel mezzo, così come la verità non è mai unica e assoluta.

Imparai a gestire me stessa attraverso le difficoltà, a privarmi di qualche vittoria per fortificare le retrovie, a rinunciare a qualche aspetto del mio carattere che era troppo battagliero, a rivalutare qualche aspetto femminile che avevo scartato.

Riuscii a far convivere entrambi i sentimenti di amore che avevo cresciuto dentro di me, non con pari intensità, né con lo stesso coinvolgimento, ma comunque con la medesima costanza e tenerezza.

Perdonai a mio padre la sua ostilità e la sua incomprensione, ricucendo un rapporto lacerato da troppi errori di valutazione e forse dai troppi silenzi. Non ottenni mai spiegazioni da lui e neppure la sua totale approvazione, ma non si può avere tutto dalla vita, bisogna sapersi accontentare. Così come bisogna sapersi lasciare alle spalle ciò che non può essere risolto.

La vita che avevo creduto di non poter sopportare continua ad insegnarmi che noi siamo in grado di decidere il nostro destino, le battaglie si perdono o si vincono, a volte non ci sono né vittorie né sconfitte, ma vale sempre la pena di farsi avanti, pur valutando le possibili perdite in partenza.

La paura si sconfigge con la fiducia e l’amore degli altri, l’incertezza si argina con la consapevolezza. Si può ottenere da noi stessi più di quanto ci aspettiamo e si può essere qualsiasi cosa, basta crederci.

Ho considerato inutili, negative e insopportabili tante esperienze della mia vita, ma è grazie a quelle esperienze che sono diventata adulta e che mi sono conquistata un centimetro alla volta il diritto di essere. L’amore inutile per un uomo che non potevo avere, il dolore inutile per una colpa che non avevo, la paura inutile di non saper vivere, e l’inutile tentativo di essere come gli altri mi volevano, sono state comunque componenti di una metamorfosi che non ho mai rinnegato.

La certezza di oggi è di aver comunque ricavato un’anima sensibile, percettiva e ragionevole da tutte le esperienze passate, sono riuscita a piantare molti chiodi lungo la parete della mia montagna e anche se non sono ancora arrivata alla sua cima, non getterei via nulla di ciò che è stato, perché nulla, assolutamente nulla, è stato inutile.