" ... il silenzio
fa le labbra sante ", ammonisce il Poeta. Ed
ogni bersagliere amerebbe tacere? ed ha taciuto,
infatti? e lasciare ad altri il compito di esaltare
i fasti del soldato di La Marmora. Sennonché,
dalla pace ad oggi, rari cantori si sono levati
ad evocare l'anima antica e ad esaltare la forza
nuova del fante perfetto.
Possono la nostra storia e il nostro retaggio seppellirsi
con quelli che l'amarono? Storia e tradizioni non
vanno custodite come foglie secche, ma coltivate
quali creature operanti.
Guai ai vivi se ignari o dimentichi; guai, se non
sanno difendere il passato e guardare al futuro.
Lavorare, bisogna, con lo spirito e l'autorità
che le vecchie " fiamme " oggi avrebbero:
agire e creare. Le guerre e gli uomini passano,
ma da generazione a generazione bisogna passarsi
le consegne degli indirizzi tradizionali. Devono
i giovani ricevere la fiaccola dai vecchi e tenerla
in alto, sempre accesa, così come gli antichi
Ellèni che perpetuavano la memoria di Prometeo,
passandosi a corsa, nel vento e contro vento, una
torcia ardente, finché l'ultimo non la riponeva,
rossa, sull'altare del Titano.
Comunicare la fiamma: ecco la consegna. Ognuno accenda
il proprio fuoco e nessuno avanzi senza un'offerta.
Or se la fiamma è l'anima del rito, lasciate,
o bersaglieri, che m'avvicini anch'io al ricoperto
fuoco; lasciate che rimuova con la baionetta di
Goito e di Jagodnij la falda di cenere sotto cui
covano tizzoni indomabili, sì che il getto
delle ricordanze si ravvivi.
lo rifarò con Voi la via del passato. A chi
non è caro il tempo lontano? Chi, più
di noi, può appellarsi alle forti e venerate
memorie, per affermare come in tutti stia il dovere
di riconoscere quel che ha operato il nostro Corpo
e l'obbligo di tramandarlo di età in età?
In ginocchio, bersaglieri, e rievochiamo i fasti
della fanteria piumata: evochiamo le dolci ombre
che ci hanno preceduto. In ginocchio, e adoriamo,
perché, se "l'avvenire dei Morti sta
nel ricordo dei vivi ", il destino dei vivi
è nel ricordo dei Morti.
Balzano dalle tenebre e passano, al nostro richiamo,
i bersaglieri di cento battaglie. Al loro apparire
sorride il cuore e la fede s'irradia contro ogni
cruccio.
Chi ha detto che i Morti non rispondono? Rispondono
i Morti. Non udite il giulivo strepito delle fanfare
dilagare precipite per la piana lombarda carica
i storia e di spighe? Non vedete le ricomposte schiere
traversare il silenzio delle basse nebbie, venire
a noi dalle lontane ambe, levarsi a volo dalle oasi
infide, scendere a stormi dalla chiostra alpina,
avanzare a raffica lungo le sponde del Mincio, della
Cernaia e del Piave, della Vojussa, del Don e del
Nilo? Tanti fiumi, epoche diverse, una sola gloria.
Come gagliarda s'alza la vampa al primo soffio,
così hanno sentito i nostri Morti al primo
squillo levarsi alta nei cuori l'antica fiamma.
Ed ora una schiera epica, irta di punte, mareggiante
di piume, fende le nubi. Le vecchie tuniche nere,
i bersaglieri del Mincio, vanno al battesimo. La
realtà supera l'idea.
" Avanti! ", incita Griffini, e, fra cielo
ed acqua, si lancia sul parapetto del ponte, seguito
dal furiere Guastoni. Il ponte crolla?... Si passa.
La Marmora è ferito?... Sarà vendicato.
La palla che spezza la mandibola del Fondatore,
consacra col primo sangue il decreto del 18 giugno.
Ma che vale il sangue, se le piume scendono lungo
l'omero come carezza della Patria che sorge?
Dietro ai primi, altri bersaglieri a corsa. Muovono
da Monzambano e da Borghetto: vengono da Valeggio,
da Pastrengo e dal rialto di S. Lucia, giungono
da Peschiera e da Governolo: scendono dalle alture
di Rivoli e dai colli di Volta; provengono da Sona
e Sommacampagna. Trentasette fatti d'arme.
Ma gli echi garruli delle fanfare non si ristanno:
e in una mirabile visione i bersaglieri del "
Quarantanove " sfilano velocemente. Hanno pugnato
alla Sforzesca; arrivano dopo l'aspra fazione di
Mortara; sanno di Novara: di Novara fatale.
Ed ecco altri bersaglieri risalire dall'Urbe. Sono
i volontari del Dandolo, di Mameli, di Morosini;
sono i bersaglieri di Luciano Manara, che "
disperati empion d'animo il metallo ".
Incessanti squillano le trombe e neri battaglioni
dai pennacchi spiumati sopraggiungono a corsa. Sono
le compagnie di Crimea. Passano la Cernaia con l'acqua
alla gola, le braccia in alto per tenere asciutte
le carabine; muovono dal ponte di Traktir dove Prevignano,
pur ferito, incita i suoi a non farsi passar innanzi
gli zuavi; scendono dal trinceramento dello "
Zig-zag ", ove Chiabrera respinge a colpi di
pietra i cacciatori finlandesi.
Agitando nel cielo ricurve fanfare e vecchie piume,
altri bersaglieri accorrono. Sono gli agili e tempestosi
soldati del " Cinquantanove ". Con i loro
fez, arrivano come un flutto di rossi fiori da Frassineto;
hanno scacciato gli Austriaci da Casale e forzato
il passo della Sesia; si sono cacciati a testa bassa
entro Palestro, ivi conquistando la prima medaglia
d'oro al valor collettivo; hanno resistito a Casalino
ed a Vinzaglio. A Magenta, poi, scuotono ed abbattono
la cancellata della stazione, piombano sugli Austriaci,
li rovesciano e l'inseguono fino a Corbetta, suscitando
l'entusiasmo degli zuavi.
Altre ombre scendono dai colli di S. Martino, disputati
dall'alba al tramonto e conquistati dopo cinque
assalti, ed altre da Madonna della Scoperta.
Nuovi fasti rievocano le incalzanti fanfare ed i
bersaglieri del " Sessanta ": "l'anno
dei miracoli ", con ali infaticabili sfilano
a corsa. Alito di poesia agita fiamme e pennacchi.
Vanno col vento. Hanno scalato il forte di Pesaro,
espugnata Perugia, occupata la rocca di Spoleto,
vinto a Castelfidardo dopo una marcia di sessanta
chilometri, preso Ancona penetrando da una cannoniera,
pugnato prima a Caserta Vecchia, sotto gli occhi
di Garibaldi, poi al Macerone e al Garigliano, a
Gaeta ed a Civitella del Tronto. A Castelmorrone,
i 270 bersaglieri del 1° battaglione, trascinati
dall'esempio di Pilade Bronzetti, finite le munizioni,
hanno infranto con sassi e baionette l'attacco di
4000 borbonici.
E qui i canti cessano. Anche le trombe. Solo il
brusio si sente delle piume che scorrono con ansia
di riscossa. Sono i bersaglieri del " Sessantasei
". I lampi degli occhi, il viso contratto rivelano
il cruccio, dicono tutta la vicenda della battaglia
che, tenaci, combatterono. Muovono da Custoza dove
inseguirono invano la Vittoria, dopo aver sloggiato
a punta di baionetta gli Austriaci dal Belvedere;
hanno combattuto su M. Torre e a M. Vento; vengono
da Borgoforte, da Primolano, da Levico. Contro i
petti dei bersaglieri del 4° e del 19° battaglione
sono andati a frangersi, a Villafranca, gli ulani
del 13° reggimento. Baionette contro cavalleria.
Ma la vecchia fanfara ben presto riprende il suo
ritmo d'incitamento e di gloria. I bersaglieri del
" Settanta " ci vengono incontro. Rideste
dal richiamo, le aquile cesaree spiccano il volo
verso le rosse nubi di Roma. In testa è Pagliari,
che gira intorno le chiare pupille come quando,
nell'ammirare da lungi la Città chiusa, marciava
col suo battaglione piumato incontro alla morte.
Poi lontano s'avverte un cupo suon di trombe. Ogni
nota è un gemito, un pianto. Bianche schiere
arrivano dalle plaghe eritree. Sono i bersaglieri
del " Novantasei ": lo scarno groviglio
di Abba Garima, dove due battaglioni, laceri come
bandiere, benché devastati, resistettero.
In testa è Compiano, che a M. Rajo, cadde
fissando la morte ad occhi fermi.
Ancora più lontani, rispondono al nostro
appello i bersaglieri del " Novecento ".
Arrivano dall'Oriente come il mattino. Sono i bersaglieri
della Cina, che, a Cu-Nan-Sien, nella fosforescenza
di una notte lunare, sorpresero e volsero in fuga
i " figli del cielo ", di forza quadrupla.
Ma le fanfare non si danno tregua, ché vene
e polmoni inesausti hanno i bersaglieri. Le ossa
di tante vittime, sommerse dal deserto, si sommuovono
e ricompongono. Ecco l'ombra di Fara. Cavalca innanzi
agli eroi di Sciara Sciat, ai martiri di Giama-el
Turk, fitti in croce fra l'agitazione delle dolcissime
palme, e alla "quadrata schiera" di Bir
Tobras, che illuminò il buio di quella notte
col riverbero delle baionette. Ecco Maggiotto, l'estroso
Maggiotto. con la sua gente di Homs, che nutrì
di sangue i cespi di rose dell'antica Leptis. I
bersaglieri dell'11° e dell'8°, come mossero
all'impresa così morirono: innocenti, giocondi,
spensierati. Nelle oasi infide, sulle sabbie roventi,
strenuamente lottarono, santamente morirono:
Avanti, o Bracciaferri,
Adorni, Bagna,
Pergolesi, Coralli! Il maschio Fara
Vi guarda. Cresce il sangue e mai non stagna.
Tutti in piedi. Nessuno si ripara.
Chi cade, si rialza; e poi stramazza.
La spalla del soldato è la sua bara.
Colti nell'agguato,
si sentirono scavar le occhiaie dall'unghia beduina
o cucir le palpebre col filo dei barracani: e non
maledirono; ebbero trafitto il cuore ch'era della
mamma lontana: e un sorriso inestinguibile restò
sulle labbra; videro fiammeggiare al sole il proprio
sangue: e, sublimi, urlarono: " Italia! Italia!
".
Altra diana di guerra emerge dall'ombra. Le note
fluttuano nell'azzurro e grigi battaglioni, dai
piumetti croscianti come le ali della Vittoria,
sfilano a corsa. E' la poesia che passa: passa l'Italia
e la sua storia.
Sono i bersaglieri della più grande guerra
e della più grande vittoria italiana dopo
la caduta di Roma. Avvolti di vento e di canti,
scendono dai picchi selvosi, procedono sui tavolieri
carsici, varcano i fiumi fedeli alla Patria, avanzano
oltre le frontiere ed oltre il possibile. Trieste
è mèta del loro cammino.
Si riapre il libro del valore italiano: 32.000 morti
e 50.000 fra mutilati e feriti, attesteranno ai
venturi la leggenda del valore e la santità
del sacrificio dei fanti piumati sull'Isonzo e sul
Piave.
In tutti gli scacchieri, a tutte le quote, un solo
carme.
Sebbene creati per la guerra mobile, veloce, lirica,
nella lotta stagnante, triste, ferrigna, i fanti
piumati, seppero disincantarsi e intravedere i lineamenti
della cruda realtà trincerata, a questa adeguandosi.
Proiettili umani e cesoie e gelatina contro bieche
montagne e trame spinose fitte ed intatte, difese
da uragani di artiglierie e da mitragliatrici invisibili;
romantiche piume, trombe.. sciabole, contro roccia,
cemento, ferro.
Nel 1915, il primo slancio offensivo aveva portato
le insegne cremisi a Primolano. Gradisca, Aquileja:
varcata la frontiera alpina, investita la linea
dell'Isonzo, corroso il ciglio del Carso. Merzli,
S. Michele, Cristallo, Sleme, Javorcek, Maronia
e Col di Lana ricordano il tributo di sangue pagato
dai bersaglieri che, alle " Frasche ",
non sapevano come e in quanti avrebbero potuto sopravvivere;
nella bolgia di Plezzo, trovarono il crogiolo di
tutte le esasperazioni; sull'Ursic, al settimo assalto,
correvano sui morti. Come non intenerirsi al ricordo
dei bersaglieri?
Alpini del trincerone di Pal Piccolo e del passo
della Sentinella, dei dirupi del Cimone e del mostro
del Pasubio, delle rocce del Meatta e delle balze
di Malga Zugna?
Spallate dell'Isonzo, spedizione austro-ungarica
del 1916, offensiva austro-tedesca del 1917, battaglia
del Piave e controffensiva di Vittorio Veneto, trovarono
sempre i bersaglieri in linea.
Al nostro appello le baionette irrequiete mandano
guizzi rossigni, come di tramonto lontano, come
di aurora vicina. "Quasi muta di veltri ",
trascorre il l° reggimento d'assalto, il cui
labaro, splendente di porpora e d'oro, sa la felice
sorpresa della Sernaglia e di Falzé di Piave.
Ma altri falchi richiamano i primi, così
come un fuoco porta l'altro; e il 2° reggimento,
immortalatosi alla Madonnetta del Montello, viene
giù di corsa da quelle balze, fra l'agitarsi
festoso delle piume piantate in cima agli elmetti
come le pennacchiere sugli elmi antichi.
Poi è la volta del 3° reggimento che,
con rara virtù, lottò a corpo a corpo
sul Col Bricon ed oppose, sul Monfenera, la sua
baionetta alla 50ª Divisione germanica. E'
il 3° battaglione ciclisti - medaglia d'oro
- il quale superò d'un balzo tre ordini di
trincee a M. Sei Busi e salvò la disperata
situazione di Selz, decimando ad arma corta un reggimento
di Kaiser-jáger; il battaglione che a q.
85 lasciò sul terreno i corpi più
volte trafitti di Enrico Toti e di trecento su quattrocento
bersaglieri, e nell'assalto di q. 144 perdette quasi
tutti gli uomini.
Entrati in battaglia con spirito quarantottesco,
i dodici battaglioni ciclisti -precursori e maestri
dei reparti d'assalto- furono usati per azioni brevi
e risolutive. Questi magnifici arditi della bicicletta,
compirono prodezze sul Monte S. Michele, al ponte
di Sagrado, alle cave di Selz, nel valloncello di
Vermegliano, nel boschetto di Doberdò, a
Monte Sei Busi, a Bosco Cappuccio, sulle alture
di Monfalcone, sulle colline del Podgora, sulle
pendici del Sabotino, nel settore di Oslavia: tutte
località di atrocissima memoria.
Accesi gli occhi, turgide le vene, passano con fragor
di battaglia i bersaglieri. Ecco il 4° reggimento,
sacrificatosi più volte nella furia dell'attacco
a S. Maria di Tolmino, a Plava, sul Vodice e, dopo
una resistenza caparbia, sul Tondarecar, sul Badenecche
e sul Sisemol: tre querce lungamente non tòcche
fra le torce crollanti di un bosco in fiamme.
Ecco il 5°, decimato in venti minuti a S. Lucia
e annientato poi a S. Maria; è il conquistatore
del trincerone del Merzli, il ramparo insuperato
della " trincea dei bersaglieri " a Magnaboschi;
il reggimento che riconquistò cima Val Bella
a colpi di bomba e di pugnale. Quanti ufficiali
guidano la travagliata schiera? Centodiciotto: centodiciotto
sciabole ricurve come le lame degli antichi sarmurai.
In testa è il Col. De Maria, fulminato a
Cima Zebio per aver tenuto fede al motto da lui
lanciato nell'arginare la " spedizione punitiva
": " Il nemico deve passare sul mio corpo
".
Ed ecco i piumati del 6° ardenti nei cuori e
nei volti come se li infiammasse un solo riverbero.
Vengono da M. Ursic, da Plezzo, dal Veliki, dal
Pecinka, dal Vodice, scendono dalle Melette, calano
da M. Cornone ove furono i soli a non cedere una
roccia.
Altri reggimenti, gittati con prodigalità
nella lotta, scorrono e svaniscono lasciando dietro
di sé l'eco di fanfare. Sono i veliti del
7° che, a prezzo di sangue, mantennero le posizioni
di Jamiano e Flondar, e la cui anima tremò
di amore recando a Trieste la novella della redenzione.
Folti battaglioni dai labari quadrati e dai quadrati
petti, sopraggiungono a corsa. Loro passano e tutto
sta fermo. Sono i " leoni piumati " dell'Ottavo,
che a Fagaré " morirono piuttosto che
cedere "; è l'avanguardia della 23ª
Divisione Bersaglieri, la quale a Trivio di Paradiso
ha il monumento che eterna il suo valore e quello
del fanciullo piumato Alberto Riva," colpito
nell'atto del balzo, come per spingere la vittoria
più lontano " (D'Annunzio).
Sono i combattenti del " Nono " che, dopo
essersi offerti senza risparmio e senza rimpianto
sulle rocce del piccolo Javorcek e nella bolgia
di Plezzo, furono citati dal Comando austriaco per
la resistenza opposta nel ripiegamento di Tolmino.
Bersaglieri a tutte le altezze! Dal mare allo spartiacque
dell'arco alpino, dalle strade bollenti di sole,
che fuggivano sotto le gomme piene, alle nevi intatte,
che s'involavano sotto gli sci fasciati di ebbrezza.
Ma ancor alta si leva la fiamma delle memorie e,
come in un cielo di rinascite, altri reggimenti
si svelano. Sfilano i martiri del " Decimo
": i dimenticati dell'Albania. Hanno conquistato
alla baionetta le " Colline dei Bersaglieri
", e tre giorni e tre notti hanno lottato dentro
il cerchio dei ribelli a Passo di Logora. I feriti
a pezzi. Scampati quanti?
Ed ecco "l'Undecimo" che occupò
il trincerone di Plezzo dopo tre giornate di lotta
senza respiro, conquistò Jamiano in un pomeriggio
di fuoco e, a Flondar, in un assalto che fu un lampo,
fu proposto per una seconda medaglia d'oro. Con
esso, turbinano ruote e pennacchi dell'Undecimo
ciclisti che, con l'8° battaglione, tenne lungamente
testa sul San Michele a due brigate di Honwed; col
3° espugnò q. 85; con il 3° e il
5° q. 144.
Chiude l'interminabile susseguirsi di fiamme cremisi
e di piume nere un gruppo di labari fregiati di
azzurro. Ecco la medaglia d'oro sul drappo del 18°
reggimento; ecco la medaglia d'oro sulla fiamma
rossa del XXIII reparto d'assalto; ecco l'insegna
del 12° reggimento, seguita da uno stuolo di
prodi adusati alle titaniche lotte del Merzli, che
bevve metà del loro sangue, dello Sleme,
ove le perdite toccarono il 70 per cento, e del
Globokak, ove contrastarono ai Tedeschi della 5ª
Div. le sorgenti dell'Judrio. Dai regni della gloria
guidano il reggimento il Col. De Rossi, il T. Col.
Negrotto e il serg. magg. Merli che, sul feroce
Velikì, avute mozze le gambe da una granata,
il ceppo immerso in una ribollente pozza di sangue,
rifiutò ogni soccorso e levò in alto
il tronco dell'arto più vicino incitando
con le parole: " Le vedete le mie gambe? ma
andate avanti o bersaglieri, avanti, voi che ancora
le avete! ".
Stoicismo che ricorda quello del bersagliere Enrico
Toti, il protagonista di quota 85 di Monfalcone:
la più alta dell'eroismo italiano. Ammesso
con una gamba viva ed un puntello di legno nel 3°
ciclisti, come pervaso dalla fede e dalla febbre
di tutti i grandi storpi e monchi dell'epopea italiana,
da Carlo Zima a Pasquale Sottocorno, il barcollante
alfiere arranca su per la china, innanzi a tutti,
allo sbaraglio, lanciando bombe. E quando, ferito
una prima, e una seconda, una terza volta, sta per
piegarsi sull'unico ginocchio malfermo, s'inarca
e scaglia al di là del corpo dei Morti, al
di là dello sguardo dei vivi, la irosa immortale
stampella, comprimendo fra il cuore e le labbra
il vivo piumetto palpitante d'amore.
Finisce il primo secolo. Non la corsa. Non la gloria.
Un grido di guerra allarga i confini d'Italia. Fra
irresistibili echi di tromba, passano veloci schiere
dal casco piumato. Tornano in Africa i bersaglieri,
chiamati alla più vasta impresa: la conquista
dell'Etiopia.
Per fatalità storica, chi ha sempre sincronizzato
con le grandi tappe della Nazione, il bersagliere,
non poteva chiudere il suo secolo di vita senza
trovarsi in atteggiamento d'attacco. Sotto archi
di trionfo, passano i trascinatori delle unità
eritree, libiche e somale; sfilano i guerrieri del
3° reggimento: gli assaltatori di Amba-Aradam,
i combattenti dell'Ascianghi: la " Colonna
celere " che portò i suoi labari dalle
acque del Setit alle sorgenti del Nilo.
Quante medaglie d'oro? Ventidue. In testa a tutti
- folta barba, occhio nero, piumetto arruffato -
il palermitano Franzoni, decollato ad Amba-Aradam
da un colpo di guradé, così come avrà
la testa mozza il Capitano Soldatini, comandante
delle bande di Ambò.
Fra lo scroscio della mitraglia, un'altra colonna
muove dalle sponde dell'Ebro. Non ha fiamme rosse
né trombe d'oro né drappelle cremisi;
ma il passo è quello degli assalti; il canto,
quello delle fanfare.
L'onore delle armi è tenuto altissimo dalle
Medaglie d'oro Cavallotti, Frezza, Meridda e Morpurgo:
il Colonnello bersagliere che, pistola in pugno,
fronte al nemico, dà la vita piuttosto che
il terreno.
Poi è fragore di motori e corsa di pennacchi
pieni di vento. Sono i motomitraglieri e carristi
di Malaga, di Motril, di Santander, di Tortosa.
Inconfondibile col suo pizzetto alla D'Artagnan,
il Capitano Paladini, novello eroe da poema romanzesco,
anch'egli, come i dodici Paladini carolingi, inviato
in Ispagna a combattere gl'infedeli.
Per il suo celebrato valore, questo bersagliere
di razza era noto in tutta la Spagna: noto al nemico
che lo aveva visto nei boschi nel fango nella neve
nell'inferno, sempre avanti agli altri, sempre fuori
dal suo carro d'assalto, intrepido, irridente, irriducibile
come un semidio; noto agli amici, che decretavano
alla Sua memoria la laureada di S. Fernando e la
medaglia d'oro.
Gioia degli occhi e del cuore, passano i bersaglieri.
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