Il XXV non è
più in grado di sopportare il peso di tanta
usura ormai è ridotto a una sparuta schiera
di uomini sfiniti.
Poco distante c'è il Battaglione Cervino
degli alpini, unica riserva disponibile. Con loro
si ritorna nuovamente all'attacco e con loro si
ristabilisce l'equilibrio.
Battaglione Cervino alla baionetta! gridano i comandanti!
Bersaglieri del 3°, alla baionetta! grida Palazzolo!
E piume e penne volano verso la Quota.
Francesco Messinese, milanese del verziere, raccoglie
una bandiera e la sventola fiammeggiante fin sulla
cima in testa agli assalitori.
Più avanti, giù per i pendii ancora
in mano all'avversario, frammisto ai suoi morti,
c'è il tenente Palermo arrivato da pochi
giorni al Reggimento. All'appello quella sera manca
anche Giovanni Meazza, il prode tra i prodi, al
quale nessuna ricompensa ufficiale sarà mai
data.
Una breve sosta nel combattimento.
I bersaglieri sono affamati e stanchi ma il nemico
non dà tregua; torna a gruppi serrati.
L'oscurità e la conoscenza del terreno lo
aiutano nell'impresa; striscia invisibile, si finge
morto, poi ad un tratto, sgrana il rosario dei parabellum.
Tre contrattacchi, uno dopo l'altro e a breve distanza
di tempo, urtano quella notte contro gli uomini
del 3°.
Intanto il 6° attacca Quota 208,4 difesa da
due Battaglioni russi. Essa domina leggermente il
terreno tra gli abitati di Jagodnje e WerkForminskiy
ed è occupata dalla 9ª Compagnia dal
capitano Grotti e del sottotenente Santambrogio.
Il sottotenente Salvatore Loi della cannoni da 47/32
si batte con un eroismo degno delle migliori pagine
della storia cremisi.
Qui anche il 24, dall'alba al tramonto, sulle altre
Quote si scatena un fuoco tremendo. Le posizioni
del 3° e del 6° vacillano e all'imbrunire
dopo sei violenti attacchi, il nemico si apre un
varco a sud di Jagodnje e minaccia di dilagare a
tergo dello schieramento.
Nelle posizioni più avanzate il colonnello
Felici è raggiunto al capo da una scheggia
ed abbandona il comando a Luigi Gianturco; ferito
è anche il comandante del VI Trevisani mentre
Taccioli era già caduto alla testa del XIII.
Il sottotenente Lino Gucci, il medico bersagliere,
aveva già sfidato in precedenza l'ira nemica
dedicando le prime cure ai bersaglieri feriti in
prima linea. Il suo spirito di ardente bersaglierismo
lo portava sempre nelle prime posizioni della lotta
a curare i dolori del combattimento.
Col pennacchio sull'elmetto nascondeva la Croce
Rossa dando così un altissimo significato
alla sua missione; scompare nella mischia: medaglia
d'Oro!
Aldo Chiarini di San Giorgio in Piano, magnifico
graduato, trascina la sua squadra nei sei contrattacchi
per la difesa ed il possesso delle Quote; ferito
gravemente all'addome trattiene con le mani gli
intestini fino al posto di medicazione: ho vissuto
da bersagliere e da bersagliere voglio morire!:
Medaglia d'Oro!
Anche Quinto Ascione proposto per la massima ricompensa
commutata in quella d'Argento cade! Le case di Jagodnje,
più tardi celebrate e conosciute in tutto
il mondo ad opera di Sciolochow, premio Nobel della
letteratura nel 1965, con il suo Placido Don, diventano
improvvisamente un caposaldo di estrema importanza
da difendere all'ultimo sangue e all'ultima gloria
ed il martirio spetta ai bersaglieri di Ercolani
e di Palazzolo.
L'urto decisivo è del 25 contro il caposaldo
di Tschebotarewskij posto a protezione di Jagodnje.
Il 3° regge; il Novara ed il Savoia accorrono
a sbarrare la penetrazione e con l'aviazione che
mitraglia e spezzona, il nemico è contenuto.
Il 26 la situazione peggiora ancora.
All'alba preannunciatasi calma, succede il giorno
tremendo con la prima linea segnata da una tragica
fila di morti. Il maggior peso dell'attacco si riversa
sul XXV mentre azioni diversive vengono effettuate
sul XLVII Battaglione motociclisti del tenente colonnello
Rubini impegnato duramente nell'abitato di Bachmutkin.
La difesa della 2a, della 3ª e della 106ª
motociclisti è meritevole di alto elogio.
Cade Don Palmiro Morandi, Cappellano del Battaglione
proposto per la medaglia d'Oro e con lui il sottotenente
milanese Ferruccio Petracchi: ferito resta al suo
posto ed aziona personalmente una mitragliatrice
tolta ad un bersagliere cadutogli al fianco.
Assunto il comando della Compagnia rimasta priva
di ufficiali la conduce all'assalto contro un nemico
cento volte superiore ed è fermato solo da
una sventagliata di parabellum: medaglia d'Oro!
L'attacco si esaurisce nell'insuccesso, ma deciso
ad impadronirsi ad ogni costo di Jagodnje, il nemico
si accanisce contro la balka Krisaja.
Anche questa volta i suoi sforzi sono vani nonostante
l'afflusso di nuove grosse unità e solo verso
le undici riesce ad infiltrarsi nello schieramento
a sud del caposaldo di Bachmutkin e il combattimento
si riaccende sul fronte della Celere con una violenza
disperata.
Jagodnje però regge bene.
Quando il cerchio di fuoco la investe da tutti i
lati e le fiammate delle mitragliatrici e dei parabellum
sono a distanza ravvicinata l'ardore dei bersaglieri
rompe il tragico incanto e l'avversario è
costretto a ripiegare. Cinque volte si ripetono
nella notte successiva gli assalti e per cinque
volte nella tragica oscurità di quelle ore
si ripete il grido: Terzo! Terzo di qui non si passa!
Jagodnje segna anche l'epopea del reparto sanitario
del Reggimento. Muore il capitano Stralluzzi e con
lui il sottotenente medico Cao del XXV e due infermieri;
Mugnaini, medico del XVIII è gravemente ferito.
Avanza il giorno e la battaglia ingrossa.
Le munizioni scarseggiano e la radio del comando
non funziona più. Gli episodi sono così
convulsi che i proiettili delle nostre artiglierie
cadono spesso sui difensori e attraverso il vuoto
della morte il nemico passa e dilaga.
E' gravemente ferito il tenente Natali. Mengozzi,
ferito è costretto ad abbandonare il reparto,
ferito pure è Frizé che ha portato
due volte la Compagnia al contrattacco.
Cade il caporal maggiore Anfesi dopo aver ricacciato
da solo un gruppo di nemici e con lui Ercole Romenzani
alla testa della sua squadra.
Sono feriti quasi tutti i comandanti dei minori
reparti.
Il momento è tragico. E' rimasto solo il
Tricolore di Messinese con pochi ufficiali; Fumagalli,
Raimondi, Fanucchi, Cataldo, Stricchi, Romanelli
e Perrone guidati da Palazzolo vanno all'ultimo
contrattacco. Li sostiene e li incita lo spirito
di Aminto Caretto che li porta alla vittoria ed
alla seconda medaglia d'Oro al valore collettivo!
Superba unità di guerra non paga del grande
sangue e delle eroiche imprese compiute nel precedente
ciclo operativo, chiamata all'arresto di grandi
masse nemiche trascinate sul Don, le ricaccia con
impetuoso attacco facendo brillare di piena e fulgida
luce di fronte all'alleato ed allo stesso nemico,
le virtù guerriere della stirpe italica.
Il sacrificio delle medaglie d'Oro Chiarini, Petracchi
e Gucci, l'eroismo del tenente Di Primo e di Santambrogio,
di Sani e di Sartori, costituiscono anche per il
6° il nobile retaggio che i pochi superstiti
raccolgono e custodiscono con l'impegno di esserne
degni.
Per quindici giorni il nemico tenta in quotidiani
attacchi di impossessarsi delle sue posizioni, ma
il Reggimento di Bologna non cede mai.
La Quota 208,4 è il suo calvario ma resta
anche la sua gloria.
A difenderla per una profondità di circa
due chilometri stanno il XIII ed il XIX Battaglione
sui quali il nemico si scaglia il 10 settembre.
La 9ª Compagnia perde quasi tutti i suoi effettivi
ma non un palmo di terra; il suo comandante, il
sottotenente Loi, ferito, è proposto per
la massima ricompensa al valore che sarà
poi commutata nella medaglia d'Argento; attorno
a lui cadono Boschetti due volte decorato, il maresciallo
Bresci ed il sergente Gualandi e tanti altri.
Don Celestino Nardin, il pio benedettino olivetano,
Cappellano del Reggimento, è decorato per
la seconda volta. Con l'azzurro del suo petto e
quello della depauperata schiera dei superstiti
si chiude la prima battaglia difensiva del Don e
la prima parte di gloria del 6° che si guadagna
come il confratello combattente al suo fianco una
splendida medaglia d'Oro.
Salda e forte unità di guerra, già
temprata in mesi di aspra lotta su altro fronte,
si prodigava nella dura Campagna di Russia e nella
leggendaria marcia dal Donez al Don dando il suo
potente contributo decisivo alla battaglia rendendo
vani i ripetuti attacchi fatti dal nemico con mezzi
e forze assolutamente preponderanti.
E' il giusto premio ad un eroico Reggimento e al
suo comandante che il 28 settembre lascia il comando
ed è il retaggio di fede e di ardimento che
Mario Carloni dovrà raccogliere per i futuri
cimenti.
Il nuovo comandante è il padre della medaglia
d'Oro Bruno Carloni caduto alla testa della 2ª
Compagnia a Quota 360,2 e viene dalla Balcania.
Con lui il 6° continuerà la storia, l'ultima
storia cremisi della sua vita, tra Bolschai e il
Donez, da Rikowo al Dnieper fino a Pawlograd dove
il 20 febbraio del 1943 si guadagnerà la
seconda medaglia d'Oro al valore collettivo.
MESKOFF E CERKOWO Sacrificio e Gloria
Siamo alla più alta epopea del 3°
ed al compimento di una impresa titanica del 6°.
Si ripete ora la tragedia della Grande Armata napoleonica;
la tragedia di tutti gli uomini che nella sventura
hanno trovato la forza di reagire alle avversità
e di mostrarsi degni delle imprese loro affidate.
Il 3° che aveva raccolto tanta gloria ed avrebbe
potuto attraversare ancora la steppa e sfidare i
carri armati e la cavalleria cosacca, ha l'ordine
di resistere e di immolarsi attorno alle isbe di
Meskoff e di Cerkowo per dar tempo ai reparti italiani
e alleati di abbandonare la linea e salvarsi.
Così anche il 6°.
I due Reggimenti privi dei vecchi combattenti morti
o feriti o avvicendati, agli ordini di due nuovi
intrepidi colonnelli, Longo e Carloni, appena giunti
in Russia, tengono fede all'impegno assunto sacrificandosi
fino all'estremo e scrivendo la più bella
pagina della storia di questa Campagna. Anche loro
come i fratelli di Nikitowka si consumano perché
altri non muoiano.
I pochi del 3° che, finite le munizioni, affamati,
oppressi dalla lunga veglia e svigoriti dai tremendi
attacchi e irrigiditi dal freddo sono fatti prigionieri,
si incolonneranno per la lunga e dolorosa marcia
del Davai e si imporranno all'ammirazione dell'avversario,
fieri nella prigionia, non rinnegando mai la Patria
e il passato di prodi Figli di Lamarmora.
Gli altri, quelli del 6° si imporranno all'ammirazione
degli alleati e dei compagni delle altre armi; per
loro si sacrificheranno facendosi scudi di acciaio,
impedendo nelle sacche paurose dei russi di attanagliare
i grandi reparti ripieganti. Gloria, gloria, gloria
a voi o prodi che trasfigurati da una lunga prigionia
o restituiti alla Patria dopo aver protetto intere
legioni, avete saputo mantenere la fermezza degli
uomini liberi e coscienti della grandezza del compito
assolto!
Quando il colonnello Mario Carloni assunse il comando
del 6° ben pochi erano i veterani ancora presenti
al reparto, che dopo un breve periodo di riposo
negli accantonamenti di fortuna a Bogutschiar, il
22 novembre, poterono essere nuovamente schierati,
in linea.
Le acque del Don, lente e sornione nei mesi estivi,
ora hanno fermato il loro andare e indurite dal
gelo non rappresentano più un ostacolo naturale,
e le pattuglie nemiche sopra di esse svolgono una
intensa attività di disturbo per tutto il
vastissimo tratto di fronte.
A riprova di una saldezza d'animo che lascia ben
sperare per le prossime dure prove imminenti, tutti
si comportano da prodi, veterani e complementi.
Il 16 la grande offensiva nemica è in atto
sull'intera linea dell'A.R.M.I.R.. I russi, come
l'anno precedente, fanno largo uso di forze corazzate
e di truppe fresche.
Il 3° è violentemente investito sul caposaldo
di Jagodnje.
Nessuno si fa più illusioni.
La vastità enorme dei quaranta chilometri
difesi dai due Reggimenti, la mancanza di mezzi
corazzati e dell'aviazione impegnati nella immane
lotta di Stalingrado, la esiguità delle riserve,
un solo Battaglione di bersaglieri a riserva dell'intera
Celere, e la scarsità delle artiglierie anticarro,
hanno un peso dominante sull'esito negativo della
battaglia.
Nelle isbe e nelle balke i combattenti attendono
vigili la grande ora.
Nella vastità delle notti e sulla distesa
gelata del fiume dove bersaglieri e mortieri scrutano
ansiosi, scivolano leggere le pattuglie nemiche.
Ogni giorno l'aviazione nemica intensifica i bombardamenti;
ogni giorno nuovi scontri ed uno stillicidio di
morti e di feriti.
L'aiutante maggiore del XVIII tenente Paolotto cade
investito da una raffica di aereo. Gino Sintini
della 17ª Compagnia cannoni perde gli occhi
accanto alle spoglie del tenente Apostoli.
Muore il sergente Puppis; stoico e fiero è
il comportamento del capitano Gastone Nardi che,non
abbandona la lotta anche quando il congelamento
lo fa stramazzare al suolo. Piselli, Quadroli, Vannucci,
Albrizio, tutta gente del VI, si comportano da prodi
e il XIII costituitosi a caposaldo agli ordini del
tenente Morra rompe l'accerchiamento nemico per
congiungersi ai resti della Sforzesca.
Il 20 la lotta è furibonda. I bersaglieri
con le bombe a mano affrontano i pesanti T34 per
due giorni consecutivi.
Il 24, l'intero Battaglione sopraffatto vede i pochi
superstiti incamminarsi sulla dolorosa strada della
prigionia.
Il VI ed il XIX, impegnandosi in disperate, eroiche
azioni di difesa, coprono i movimenti delle Divisioni
in ritirata. Più volte accerchiati rompono
sempre la morsa avversaria e raggiungono le nuove
posizioni da difendere ancora.
Anche qui l'eroismo è di tutti e per tutti
vale citare i nomi dei sottotenenti Rosa e Siniscalchi,
di Ragonigi, di Zampieri e Bergonzini, di Piazzi,
Cornaccini e Baldassarri.
Il maggiore Lecchi e i sottotenenti Bracchi e Camerini,
prigionieri, per quattro lunghi anni alimenteranno
nei bersaglieri compagni di sventura, il culto dell'onore
e della Patria.
Ora il nemico tenta di impedire i movimenti ai settori
del 3° e approfitta dei punti deboli per allargare
la sua azione fra i capisaldi del XVIII e del XXV.
L'attacco si profila violento.
Sono mobilitate tutte le riserve umane della steppa;
divisioni di siberiani, di mongoli e di tartari
sono gettale nella lotta.
Sui crinali delle balke del Don, fumanti nella tormenta,
ad una temperatura di oltre 30 sotto zero, sferzati
dal vento della pianura immensa, tedeschi, ungheresi,
rumeni e italiani difendono la sponda destra quando
già tra caposaldo e caposaldo si sono insinuati
grossi reparti corazzati.
Tutta la Celere già il 16 ha il presentimento
del sacrificio.
I valorosi nostri due Reggimenti, gli artiglieri
del 120°, i mortieri dell'88°, la Legione
croata, i bersaglieri del LXVII corazzato e del
XLVII motociclisti, gente che ha vissuto per mesi
e mesi la gloriosa epopea dello CSIR assaporando
l'ebbrezza dei successi, oggi sa di non dover abbandonare
il posto e di morire. L'11ª Compagnia del XXV
è attaccata all'alba dalle forze russe.
Il comandante Federico Imbriano reagisce furiosamente
e dopo quattro ore respinge il russo penetrato nei
camminamenti; quaranta morti con i sottotenenti
Ragucci e Rizza; qualcuno tiene ancora il fucile
imbracciato. Sulla sua postazione Ragucci aveva
disegnato un elmo con il piumetto e scritto: di
qui non si passa finché siamo vivi! Tutti
hanno tenuto fede a quelle parole!
Attraverso i vuoti dei Battaglioni, guardati dalle
pattuglie mobili, il nemico avanza risalendo la
valle Tichaja e punta velocemente su Meskoff dove
è il comando della Divisione.
Il 18, il 19 e il 20 la città resiste magnificamente.
Premuta fortemente sul fianco destro, minacciata
alle spalle dalle mobilissime truppe infiltratesi,
sottoposta ad un fuoco infernale di mortai e di
artiglierie di tutti i calibri, martellata notte
e giorno dall'aviazione, non cede un palmo di terra.
Il 3° e la Legione croata si battono leoninamente.
Il colonnello Felici ferito ad una costola lascia
il comando al colonnello Longo. L'attacco è
stroncato anche dagli scritturali, dai carabinieri,
dagli attendenti, dai furieri e da appartenenti
ai servizi di quindici unità, molti dei quali
alla sera non rispondono all'appello.
Il comando del Corpo d'Armata tedesco, per proteggersi,
si ritira portando con sé il 6° che arretra
combattendo per una ventina di chilometri.
Solo il 3° schierato intero è vigile
attorno alle unità che dal Don vanno a costituire
una nuova linea di difesa sul Tichaja. Il più
bel Reggimento della Campagna di Russia si sacrifica
per consentire agli altri la salvezza.
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