RACCONTI DI GUERRA
Del vostro papà
Ai miei figli:
Elda
G.Giacomo
Vittorio
Nelle ore del pericolo sono tranquillo, perché penso
a voi!
Se mi assale lo sconforto il vostro ricordo mi rinfranca!
Non temo nulla perché fido nelle vostre preghiere!
Ai miei cari figli: Elda, Giangiacomo e Vittorio.
Qualche altro, al mio posto, si sarebbe messo a scrivere
queste poche cose per pubblicarle sui giornali o sui libri.
Io le scrivo, invece, per voi, esclusivamente per voi.
Vi riunirete intorno al tavolo; Vittorio, come è solito
fare, da quel prepotente che è, vi si siederà sopra; la
mamma, appena seduta, prenderà qualche cosa da fare con
le sue mani solerti, e, così riuniti, nella luce raccolta,
che mi era tanto cara, leggerete questo libro, scritto
per voi, esclusivamente per voi.
Un papà alla guerra non è un papà come tutti gli altri.
Gli altri pensano a lavorare e a guadagnare per i loro
bambini, solo per quelli; un papà alla guerra lavora e
rischia la vita per tutti i bambini della nazione. I papà,
e ce ne sono tanti, vanno alla guerra e fanno la guerra
appunto per rendere grande la Patria, perché così, i loro
bambini e tutti i bambini d'Italia, in avvenire, saranno
più felici; soffriranno meno indigenze; avranno, come
cittadini di una Patria più grande, più forte, più temuta,
un bel posto nel mondo. Per questo i papà vanno alla guerra.
L'Inghilterra non ha mai voluto che la nostra Patria diventasse
grande e potente; che avesse le vie dei mari libere; non
ha mai voluto che si conquistasse colonie dalle quali
le sue industrie potessero avere le materie prime necessarie;
non ha mai voluto che, coi suoi commerci, spaziasse sui
mercati mondiali!
Il mare è la via più facile, per gli scambi commerciali
e, quindi, della ricchezza e della prosperità! L'Inghilterra
ci ha chiusi in gabbia, nel Mediterraneo, mettendo il
lucchetto al Canale di Suez ed allo stretto di Gibilterra.
Per uscire dalla gabbia, per tentare voli più grandi di
essa, abbiamo sempre dovuto chiedere il permesso ad essa
ed essa ce lo ha sempre negato.
Per portare oltre il Mediterraneo il frutto della nostra
genialità e del nostro lavoro, abbiamo sempre dovuto pagare
lo strozzinaggio di Suez.
I papà, un bel momento, hanno pensato:- E' ora di finirla
-. All'Inghilterra hanno detto:- Siccome non la finisci
tu, per tuo conto, te la facciamo finire noi, con tutte
queste angherie e questa tua aria spavalda da padrona
cattiva! - Il Duce ha capito come la pensavano i papà,
ha capito i bisogni della Patria ed ha iniziato la guerra.
Il vostro papà è partito.
Ritornerà ad abbracciarvi quando l'Inghilterra avrà pagata,
una per una, tutte le angherie che ha fatte subire alla
nostra Patria ed avrà scontati tutti i soprusi dei quali
l'ha fatta segno.
Solo allora ritornerà.
Vi bacia tanto tutti il vostro papà.
Dal fronte di Tobruk Maggio 1941.
RACCONTI di GUERRA Del vostro papà.
PARTE PRIMA
Dal Piemonte a Tripoli.
........ Ecco giunta l'ora della partenza.
La folla che a Vigone era venuta a portarci il saluto
di commiato, armata di bandiere e di gagliardetti, tirata
a lucido per l'occasione, si è già sperduta nella lontananza.
I gridati dietro al treno, già in corsa, non si odono
più. I bersaglieri agitano i berretti stando accavallati
davanti alle aperture dei vagoni. Il treno è una enorme
biscia, a chiazze rosse, che corre, snodandosi, sulla
campagna piemontese. E' una enorme biscia canterina, perché
i bersaglieri cantano, cantano, cantano fino ad avere
le voci rauche.
Ecco giunta l'ora della partenza! Quando sarà il ritorno?
Le vostre testine, miei piccoli, mi si affacciano sorridenti
alla mente. In mezzo ad esse vi è quella della mamma che
mi guarda pensosa. Ho un momento di rammarico, ma poi,
penso che verrà anche l'ora del ritorno; che il ritorno,
dopo compiuto il dovere, sarà molto bello; che il riabbracciarvi,
dopo la guerra, sarà la più grande gioia che proverò al
mondo.
Così, con la vostra immagine nel cuore, accarezzando mentalmente
i riccioli del mio Vittorio, mi trovo, senza volerlo,
a canterellare la canzone che mi giunge, dai vagoni rumorosi,
col ritmo scandito dallo sbuffare alacre della locomotiva,
accompagnato dal martellare secco delle ruote sulla giuntura
delle rotaie.
…….. Un mazzo di garofani rossi.
Alessandria! Alessandria! Mi strappo dal lieve torpore.
Lo sferragliare del treno, il gridio confuso dei bersaglieri,
il parlottare dei colleghi mi avevano cantata la ninna
nanna. Arriviamo in stazione. Il desiderio vivo, che abbiamo,
è quello di arrivare ad un'altra Alessandria! Per ora
accontentiamoci di questa.
Siamo attesi.
Vengono verso il nostro vagone le autorità. Ossequiamo
il Signor Colonnello Comandante e fanno omaggio alla bandiera
di un grosso mazzo di garofani rossi.
Anche questo fa piacere: la bandiera è il simbolo della
Patria e ci accompagna dovunque. Rappresenta la forza,
l'unione degli spiriti di tutti i componenti il nostro
bel reggimento. -Il mazzo di garofani che offriamo in
omaggio alla vostra bandiera, dice la giovane fascista
nel deporlo accanto al tricolore, è un augurio per tutti
voi: l'augurio di combattimenti vittoriosi, ed infine,
di un ritorno da eroi, carichi di gloria.- Così sia!
Mormoriamo noi. Il terno riparte.
Altre grida di saluto. E canti, canti, canti. La lunga
biscia, a chiazze rosse, riprende la corsa nel tramonto
piovigginoso.
…….. Una voce di bambino nella notte.
Il treno corre da molto tempo, nella notte fonda. Siamo
sulla riviera ligure. Stazioni buie, silenziose, all'arrivo
del nostro treno si empiono di clamore, di evviva, di
canti. E' la giovinezza, la vita che passa e lancia una
folata del suo entusiasmo dove la paura della morte rende
perfin troppo prudenti.
Sampierdarena; luci smorzate; ombre incerte che si muovono.
Nomi lanciati ansiosamente dalle pensiline al treno, dal
treno alle pensiline.
Su tutto, alta e argentina, una vocetta chiara di bimbo
che chiama:"Papà! Papà!"
E' inutile, mio povero cuore, che ti metta a battere così
tumultuosamente. Non è il tuo piccolo che chiama! Pure
sarebbe così bello poter saltare dal treno, trovartelo
tra le braccia, sentire le sue braccine tiepide intorno
al collo ed i suoi riccioli d'oro sulle gote. Sarebbe
così bello!
…….. I maschietti romani.
Roma si profila in distanza poi ci corre incontro e vediamo
sfilarci davanti, come al cinematografo, le grandiose
costruzioni dell'esposizione. Ci fermiamo alla periferia,
ai piedi di un'alta scarpata sulla quale corre un sentiero,
riparato da una rete metallica. Più oltre si intravedono
case in costruzione, altissime.
Sul sentiero sta giocando un gruppo di monellacci che
al nostro arrivo si fermano estatici a guardare il treno.
Ad un tratto, un piccolo brunetto, dagli occhi vivacissimi,
si mette a battere le manine contentissimo, poi indicando
qualcuno sul treno grida: - Befanone, Befanone! S.Nicolò
con la barba e con la tromba! -
L'oggetto che gli aveva data tanta allegria e che ormai
è fatto segno all'attenzione di tutti, ha la barba bionda
e il fez, messo diritto sulla testa: è il trombettiere
del plotone comando reggimentale. -Befanone, fammi una
sonatine con la tua tromba d'oro - prega il piccolino;
e il trombettiere giù una strombettata stonatissima. -
Ma va, Befanone, questa è una sonata del diavolo dalle
corna, quello che si porta via i maschietti cattivi.-
Allora il trombettiere modula un'arietta in sordina. I
piccoli lo stanno ad ascoltare attentissimi. Il treno
si muove, poi riprende la corsa e i piccoli gridano ancora,
tentando di correre col treno: - Ciao Befanone! Ritorna
a portarci le ciambelle! - Cari maschietti romani, ne
aveste tempo di aspettare le ciambelle!
Questo Befanone è un tipo che se ne avesse anche un cesto
se le papperebbe tutte lui, con quel desiderio, mai sazio,
che ha di sentire sempre qualche cosa scricchiolare sotto
i denti!
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