Ass. Naz. Bersaglieri Sez. di Desenzano
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Nella steppa

Ha l'ordine di restare sul posto e resta: abbandonerà il fiume solo quando tutto sarà finito e con la Legione croata e il 120° artiglieria si incamminerà verso Meskoff, altare del suo ultimo sacrificio; indicherà a tutti la strada della salvezza ma rinuncerà a seguirla!
L'ordine del suo ripiegamento dopo lo sventramento del fronte è del giorno 20 e la marcia di trenta chilometri dura l'intera giornata e la notte del 21.
Il Reggimento ormai non è più la retroguardia di un esercito in ritirata come nei manuali di guerra; è un corpo staccato, abbandonato alla sua sorte.
Invece dei tedeschi a Meskoff ci sono i russi! Bisogna cacciarli.
La Legione croata attacca con gli uomini del tenente Braccia ed è uno spettacolo eroico. Molti cadono ma altri continuano come se la morte fosse un fatto a loro estraneo; la bella legione slava è interamente distrutta.
Attaccano quelli del XVIII già mal ridotti nei giorni precedenti e il loro strazio dura tutta la giornata e la notte seguente. Assalti e contro assalti. Le mitragliere da 20 del tenente Grosser cercano i carri armati russi che sono appena accarezzati dai colpi. Nidi di mitragliatrici fanno strage di bersaglieri nei tratti scoperti. Imbriano alla testa dell'11ª compie prodigi di valore attorno alla chiesa di Meskoff avvolta dalle fiamme.
Le isbe vomitano fuoco da tutti i pori ma il XX ed il XXV penetrano più volte fra casa e casa malgrado l'inferno che li circonda.
La notte del 22 è un incubo di scoppi, di lamenti di feriti, di disordinate corse nell'oscurità e di ricerche affannose dei compagni scomparsi nella mischia.
Giunge l'ordine di ripiegare alle prime luci e Longo tenta di riordinare i sopravvissuti.
Il settanta per cento manca all'appello! Gli ufficiali sono attorno agli ultimi uomini.
Kalmikoff è una conca e tutt'intorno sui suoi crinali vi è una miriade di sagome nemiche e di carri armati e di mortai ed una pioggia di bombe e di proiettili a non finire.
Quanti mezzi e quante fanterie sono necessari per piegare la forza di un Reggimento semidistrutto e di pochi croati! La potenza del nemico è ritardata dalla potenza dei cuori dei Figli di Lamarmora!
Così il 3° è stato visto per l'ultima volta attorno alla collina di Meskoff e nella conca di Kalmikoff; così per l'ultima volta sono stati visti i volti di questi grandi uomini!
Il capitano medico Rossi abbandona l'ospedale ormai colmo di morti e anche lui va a morire nella mischia. Pallavicini e Bertacchi pure medici del Reggimento organizzano gli infermieri ed i servizi dell'ospedale da campo e corrono alla battaglia.
La storia di Meskoff è una interrotta offerta di sangue in una battaglia senza speranza e i suoi sacrifici e le sue glorie rimarranno sconosciuti per la maggior parte.
Qui il bersagliere è solo davanti al suo coraggio ed all'Altissimo. Non ha nessuno che lo vede e possa raccontare le sue gesta dopo Meskoff; il suo eroìsmo resta anonimo; per questo non sarà mai possibile rievocarlo!
Carlo Garau, fratello della medaglia d'Oro Giovanni, e il sottotenente Martelli, gravemente feriti in ripetuti attacchi sono ricoverati nella chiesa che brucia e nelle poche ore che precedono l'annientamento del Reggimento sono di conforto e di esempio a tutti i feriti. Della loro fine nulla si saprà come di quella di tutti i ricoverati in quel luogo santo.
Il caporal maggiore Stroppa scompare con la sua mitraglia e con l'intera sua squadra. Il tenente Parmeggiani ferito e catturato non rivedrà più la Patria e il bersagliere Mandrini che lo aiuta nella tragica odissea verso i reticolati non avrà miglior fortuna: anche di lui non si saprà più nulla.
Tata e Squadroni, fidi collaboratori del colonnello Longo e valorosi comandanti di Battaglione morranno durante l'allucinante marcia della prigionia. Anche Giuliano Fanucchi sempre ardente di fede e di azione cederà durante quella feroce marcia; abbandonato febbricitante in una jsba alle cure di una ucraina scomparirà per sempre. Il siciliano Stefano Cattafi. di Barcellona, ferito ad Arbusow non desiste dall'attacco fino a quando non riesce a vincere il nemico e su di esso cade: medaglia d'Oro. Il capitano Matteo Marciano con i suoi superstiti assalta cinque volte l'avversario prima di morire.
Mario Ciotti all'ordine di ripiegare urla selvaggiamente che cento italiani valgono tremila russi e non si muove: rimane là, per sempre, nella neve di Meskoff. Il colonnello Longo tradotto davanti ad un alto ufficiale russo per essere interrogato si sente congratulare per l'eccezionale valore dei suoi bersaglieri che soli, con il balenio delle baionette ed il fragore delle piccole bombe a mano, soli con i loro morti, si ersero contro l'acciaio dei carri armati, infransero le cinture ferrate nemiche sdegnando il pericolo, bagnandosi sempre nel sangue dei fratelli prima di ogni balzo verso la gloria e verso la morte.
I pochi superstiti abbandonati nell'immensità della neve che circonda i fili spinati dei campi di prigionia saranno confortati da Don Bonadeo degno continuatore dell'opera di Don Mazzoni e di Don Davoli.
E la cronaca della prigionia degli uomini del 3°, come del resto quella di tutti i soldati d'Italia cui toccò quella triste sorte, è la più spietata pagina della storia dell'umanità dove ogni pietà è morta, ma i bersaglieri in quella tragedia, posti fuori della guerra, in quei vasti campi dominati dalla ferocia e dalla più grande miseria, tengono fede al giuramento della Patria.
A Kantemirowka per tre giorni, il 17, il 18 e il 19 dicembre il tenente colonnello Luigi De Micheli, il maggiore Bertolucci ed il caporale Trevisani con sedici volontari tutti addetti ai servizi di sussistenza, presidiano la città e la difendono dai russi.
Solo quando i magazzini sono sgombri e tutto il materiale è posto in salvo essi rompono l'accerchi amento. I pattuglioni che si affacciano al paese sono ricacciati con i moschetti e le bombe a mano, unico tesoro di quei pochi prodi.
A Cerkowo il 13 era giunto Virginio Manari con i complementi che non si erano riuniti al Reggimento a Meskoff.
Il fronte è frantumato, la ritirata ingoia interi reparti e nell'abitato si insinuano i primi carri armati russi.
Manari si prepara alla difesa e per giorni e giorni lotta, corpo a corpo, come uno qualsiasi dei suoi bersaglieri.
Gli è a fianco il dalmata Enzo Drago, grande cuore di bersagliere e trascinatore di reparti nella lotta disperata.
E' tutta gente già provata nei combattimenti della valle di Arbusow e venuta a Cerkowo in cerca di un po' di riposo, ma questo è un punto obbligato per le truppe che ripiegano e bisogna difenderlo il più a lungo possibile.
I russi premono disperatamente sul caposaldo con ogni specie di artiglieria e di mortai che producono immensi vuoti nelle file italiane e tedesche.
La notte di fine anno Manari è ferito, e il giorno dopo, capodanno 1943, piega la testa fra le braccia del caporale maggiore Antonio Loizzi e la sua salma calerà nella bara di ghiaccio con il piumetto e la divisa logora bucata da tanti colpi.
Sotto la guida di un altro valoroso bersagliere, il maggiore Cesare Massone, Cerkowo regge ancora per parecchi giorni e i difensori scrivono un'altra pagina degna di ricordo nella storia del Reggimento.
Il 18 gennaio con i fanti dell'80° e con i reparti tedeschi ormai fusi in unico blocco si aprono un varco nelle linee avversarie e ripiegano verso luoghi più sicuri: verso la salvezza.
Al 6° che aveva seguito il comando dell'Armata tedesca e respinte tutte le infiltrazioni nemiche è affidata la difesa di Kjiewski punto di incontro delle forze in ritirata. Compito duro e impegnatissimo questo, contro le corazze nemiche.
Anneskj è la prima tappa del suo cammino nella notte di Natale del '42 e il nemico è frustrato. Krassnojarowka è la seconda ma qui i russi non vogliono cedere e incendiano il paese. Tra le fiamme, in una atmosfera allucinante la lotta si fa accanita, i bagliori la rendono irreale come irreale è il valore degli uomini del 6°.
Poi Marijewka, venticinque chilometri più a ovest, e sempre alla retroguardia in duelli furibondi contro un avversario baldanzoso. Tutti sono prodi, dal colonnello Carloni al maggiore Fortunato ai bersaglieri Bassi, Ghetti, Diletti, Romagnoli, Turco, Scotti, agli ufficiali medici Bononcini, Biso ed Elisci tutti decorati.
E le perdite! Quante sono le perdite? Nessuno riuscì mai a saperlo! I superstiti paghi di contribuire a salvare tanti fratelli in cammino verso la casa e al ricordo delle vittoriose battaglie sostenute durante l'estate precedente sulla Quota 331,7, a Jwanowka, Bobrowskiy, Baskowskiy e lagodnje alimentano nella lotta il pegno d'onore da rispettare fino in fondo, fino all'ultimo di ognuno di essi.
La ritirata nel quadro dell'arretramento dell'intero fronte si tinge dei colori della tragedia.
Le pagine del più fulgido eroismo si stemperano nel grigiore della sconfitta, ma troppa è la luce che rifulge sul 6° perché essa possa scolorirsi nel nulla.
A Korsunnj nel gennaio, fuori dell'immediato raggio d'azione della incessante offensiva nemica il Reggimento spera in un meritato riposo ristoratore. La speranza è troncata dopo brevi giorni.
Il nodo ferroviario di Pawlograd è in serio pericolo e la sua perdita condurrebbe alla catastrofe delle unità tedesche in ritirata. Tocca al 6° difenderlo e respingere le formazioni corazzate sovietiche che minacciano l'intero schieramento del Dnieper a Ternowa, a Dimitriewka e a Borgdanowka. Resiste fino alla metà di febbraio agli assalti russi e all'insidia partigiana.
Man mano che i giorni passano il fronte si accende di nuovi e sempre più insistenti bagliori di lotta culminanti a Pawlograd il 17.
Il VI e il XIX Battaglione stremati difendono il caposaldo incalzato da ondate che si rinnovano senza interruzione.
La lotta assume toni drammatici; le posizioni perdute nei primi attacchi sono riconquistate e mantenute per ben dieci giorni durante i quali le Divisioni tedesche organizzano una linea di difesa sul fronte del Dnieper. I mezzi nulla hanno potuto contro la volontà eroica dei bersaglieri e un nuovo serto di gloria corona tutto il 6°.
Il 17 Pawlograd è abbandonata e il Reggimento si dirige a Nowo Moskowsk.
Sfilano sul ponte del Samara, difeso ad oltranza, le artiglierie, gli automezzi ed i carri armati tedeschi; ultimi i bersaglieri di Carloni e le piste della steppa si tingono ancora di sangue e si punteggiano di piumetti neri disseminati lungo i tratturi accanto ai mezzi corazzati distrutti.
A Snamenka la reazione nell'interno dell'abitato è ancora vinta dai bersaglieri; poi a Dnieppetrowsk dove il compito del Reggimento finisce contro gli ultimi attacchi nemici.
La Campagna di Russia si è conclusa. Il sigillo dell'eroismo glielo ha impresso il 6° Reggimento bersaglieri!
E l'ultima gloria segnò i petti del maggiore Fortunato, del bersagliere Savini, del Cappellano Don Gherardi, dei tenenti Rossi Sabatini ed Eibestein, di Golinelli, di Briganti, e di Casati, di Grieco, di Buchi e Siniscalch, di Nelli e di Magnani; andò a sfiorare i tumuli dei 1734 rimasti in tutti gli angoli della steppa e si posò sulla Bandiera del Reggimento con la seconda medaglia d'Oro dedicata ai vivi ed a tutti i morti che in nobile gara di eroismo e di sacrificio con altre truppe, avanguardia ardimentosissima in cruente punte controffensive, temeraria ed implacabile retroguardia, in durissimi combattimenti di arresto contrastò passo a passo le forti Colonne nemiche, rompendo più volte l'accerchiamento con mezzi ed armi inferiori per numero ed efficienza, tenendo ovunque alto il nome d'Italia.
E tutti nella Campagna, attraverso le vicende più disperate riuscirono a mantenere la volontà ardente di resistere per un altro mese anche quando l'ultimo reparto dell'ARMIR aveva cessato di combattere.
Contro tutti gli ostacoli e ogni squilibrio di mezzi, superando il tormento imposto dal clima e le fatiche e i disagi imposti dalla disfatta, scrissero pagine di eroismo degne di uomini di antica leggenda, degne solo degli uomini del 6° Reggimento Bersaglieri!
E quando, tornati in Italia, costretti ad abbandonare le armi in un campo di disinfezione e a proseguire il cammino disarmati, videro la loro Bandiera avviarsi alla sede di Bologna scortata solo dal colonnello Comandante e da due sottufficiali, non imprecarono contro la miseria dei tempi e degli uomini; tutti, tutti, tornarono alle loro case ed alle loro opere di vita a testa alta, fieri del dovere compiuto e del nastro azzurro che fregiava i loro petti.

Continua al prossimo numero.........


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