……..
In viaggio.
Siamo partiti ieri alle undici, abbiamo viaggiato tutta
la notte, stiamo ancora correndo attraverso la campagna
napoletana ed i bersaglieri sono ancora accavallati davanti
alle aperture dei vagoni e cantano, cantano, cantano.
Mi chiedo: - Ma quando dormono questi diavoli di bersaglieri?
-
E' sabato.
Passiamo vicino a villaggi flagellati dal sole; di un
biancore polveroso che fa male agli occhi e dà un senso
di arsura insopportabile. Nella campagna, la vite, si
aggrappa a piante altissime, formando dei grandissimi
maestosi tendaggi di tralci, che sembrano preparati per
una grande festa.
Gruppi di premilitari, al nostro passaggio, dai campi
sportivi, agitano i fez neri e sollevano in alto i moschetti.
Dal treno partono le solite grida di: - Cappella, cappellone,
marca visita, ramazza! - Grida che hanno data la soddisfazione
a generazioni intiere di soldati anziani, di godere della
gioia di stuzzicare e formentare il povero cappellone,
appena giunto alle armi. Il treno rallenta, poi si ferma
vicino ad un semaforo.
Da un villaggio giunge scamiciata e sbracalata una folta
schiera di scugnizzi che i bersaglieri classificano subito
col nome di "Squadra dalle brache rotte". Napoli è vicina.
Ce lo dice il Vesuvio, conico e pelato, che lancia in
alto il suo pinnacolo di fumo. Oggi sta pipando con molta
tranquillità. Alle sedici entriamo in stazione.
…….. Viva i bersaglieri.
Finalmente siamo giunti! Possiamo scendere. Da un treno,
fermo sul binario di fronte, i viaggiatori agitano cappelli,
fazzoletti, mani e gridano: - Viva i bersaglieri! - Nessuno
ha tempo di badare a loro.
Un reparto disciplinato compie tutte le operazioni che
deve compiere con la massima velocità ed il massimo ordine.
E' sceso il colonnello Comandante.
Dopo un quarto d'ora preciso, tutto il reggimento è schierato
di fronte, materiale ed armi in spalla.
- Settimo bersaglieri: Attenti! Presentat-arm! -
Il trombettiere, dalla barba bionda, suona tre squillanti
segnali di attenti. Scende dal treno la bandiera portata
dall'ufficiale più giovane. Alcuni ordini secchi, ci mettiamo
in movimento ed usciamo dalla stazione incamminandoci,
a passo svelto, per le vie assolate di Napoli. Ci accompagna
il saluto dei cittadini che si fermano a guardarci.
Di "squadre dalle brache rotte" ne abbiamo un codazzo.
Peccato non ci sia in testa la fanfara. Si sentirebbe
meno caldo; le gambe sarebbero più sciolte. Gli strumenti
sono chiusi nelle casse. Alla guerra non si va con le
trombe, ma con le armi lucide. E noi, non pare ancora
vero, ma stiamo proprio andando alla guerra!
…….. A Napoli.
E' domenica. Per andare dall'albergo alla caserma mi son
fatto diversi chilometri a piedi. Sono passato sulla passeggiata
a mare. Una vera festa di luce e di colori. Il mare è
abbagliante in un tripudio di sole. Lontano il Vesuvio
caratteristico, nascosto da tenui vapori. E' domenica!
Frotte di piccoli giocano felici nella bella giornata
primaverile. Sul mare si dondolano le navi da guerra,
irte di cannoni, e i grossi piroscafi dove ci imbarcheremo.
Non capisco cosa abbia.
Una specie di incertezza, strana, mi fa freddo il cuore.
Ho bisogno di scuotere questa forte nostalgia di voi miei
piccoli, di te mia Rina, della mia casa, nostalgia che
mi tiene come in una morsa di ghiaccio. Oltre il portone
della caserma sono ripreso dal vortice delle occupazioni;
mi sento meglio.
Ascolto la messa al campo nel grande cortile della caserma,
poi partecipo ai preparativi per l'imbarco, che si fanno
febbrili. Fin dall'alba le poderose mascelle delle gru
abbrancano materiali su materiali, trasportati al porto
da lunghe file di autocarri, e li introducono negli immensi
e capaci pancioni dei piroscafi.
La sera cala mentre tutti siamo ancora in piena attività
non rallentata dalla stanchezza. A notte alta, dalla finestra
dell'albergo, posto sull'alto poggio del Vomero, contemplo
il panorama che la luna avvolge in una luce di sogno.
La città è ai miei piedi adagiata, silenziosa, nell'oscurità,
schiarita dalla pallida luce lunare.
Oltre il golfo la morte tende il suo agguato attraverso
il quale dovremo passare. Domani all'alba ci imbarcheremo.
…….. L'imbarco.
I piroscafi ci attendono attraccati alle spaziose banchine.
Intorno ad essi lavorano alacri ed instancabili gli scaricatori,
i marinai e tutti gli addetti agli innumerevoli servizi
del porto. La mole dei galleggianti, dalle fiancate enormi,
bucherellate dai boccaporti e dai finestrini allineati,
dà un senso di grandiosità e di smarrimento insieme.
Guardando la banchina dall'alto dei ponti, sembra di vedere
un immenso formicaio, dive le formiche sono rappresentate
dalle persone che si muovono continuamente, con un brusio
caratteristico, interrotto da grida, da richiami, da rumori
metallici. I bersaglieri vengono divisi in squadre.
Salgono lungo la scala. Entrano dal boccaporto.
Vengono controllati dal "Maestro di casa" assistito da
un maresciallo, ritirano la zuppiera per il rancio e vanno
al posto loro assegnato nelle capaci stive, nelle cabine
e nei dormitori di terza classe, sui ponti di poppa e
di prua. Ognuno trova al posto che gli hanno assegnato
il materasso ed il salvagente. Su questi paesi galleggianti
l'ordine e la disciplina sono curati con scrupolosità.
Anch'io salgo a bordo.
Mi è stata assegnata una cabina, vicino alla passeggiata
del ponte numero uno di destra: letto, armadio, luce,
acqua corrente. Sono sullo stesso piano della sala di
lettura; al piano soprastante le sale di mensa. Mi provo
il salvagente. Mi sistemo, poi incomincio il viaggio di
ricognizione del piroscafo, ma ci vuol altro! Mi sperdo
nel dedalo dei corridoi. Devo chiedere l'aiuto e la guida
di un marinaio.
Il vice comandante del piroscafo, che ho conosciuto quando
era bambino a Pirano d'Istria, mi fa salire sul ponte
di comando. Da qui l'occhio spazia sul porto dove decine
di piroscafi e di navi sono alla fonda per lo scarico
ed il carico. Una città di ciminiere e di alberi. Il rumore
di Napoli giunge affievolito, come una cosa stanca.
Per tutta la giornata staremo in attesa della partenza.
…….. Verso Tripoli.
"Si partirà domattina alle nove" dice qualcuno.
"No, si parte stanotte alle ventitré" dicono altri.
La verità è che nessuno sa quando si partirà. L'ordine
della partenza verrà dato improvvisamente e in pochi minuti
lasceremo il porto. La nave salperà appena non vi sarà
pericolo di sottomarini nemici, salperà quando la via
sarà libera. Cala la notte. Sui ponti squillano le note
nostalgiche del silenzio.
I bersaglieri, che da mesi non dormono sul materasso,
colgono l'occasione per godersi questa notte di riposo
completo. Le macchine sin da questo momento sono sotto
pressione. Nel lettino della cabina ci si sta bene, ma
non posso dormire. Ho troppi pensieri che mi pesano sul
cuore.
Alle due il rullio aumenta. La nave si stacca dalle banchine
e scivola sulle onde silenziosa e guardinga. La sveglia
ci coglie in alto mare. Visi sparuti e sonnolenti si affacciano
sui ponti, nell'alba livida. Il salvagente dà a tutti
un aspetto buffo. Assomigliamo guerrieri d'altri tempi,
protetti da una corazza strana.
La mattina passa con l'assegnazione delle scialuppe di
salvataggio, con le prove di allarme. Il mare è tranquillissimo.
Il sole si affaccia all'orizzonte e da quel bravo pittore
che è, dà a tutta la distesa d'acqua pennellate d'oro
a profusione. Lontano i caccia, di scorta al convoglio,
avanzano, corrono avanti e indietro, sono come cagnacci
da pastore che guardano il gregge, lo fanno filare sulla
strada e lo difendono se è attaccato da qualche bestiaccia.
E le bestiacce ci sono perché, verso le undici si odono
le esplosioni cupe delle bombe di profondità. Ma nemmeno
il pericolo di essere silurati rallenta o diminuisce l'allegria
dei bersaglieri.
Alcuni riuniti in gruppo cantano accompagnati da una fisarmonica.
Un gruppo ha improvvisato uno spettacolo di varietà: c'è
una ballerina che sta danzando una danza araba. La ballerina
è un bersagliere, nudo fino alla cintola: la sottana è
fatta con un telo da tenda. Poi ci sono i gruppi dei ginnasti
si esercitano a salire e scendere dai ponti interni.
E che scherzi sanno combinare ai mezzi fifoni! Un sergente
toscano, molta chiacchiera e pochi fatti, sta dormendo
in cabina con le sole mutandine da bagno.
Un altro si affaccia alla cabina e grida: "Allarme! Si
salvi chi può!" Il sergente, mezzo addormentato, balza
in piedi, afferra il salvagente e la sua valigetta e così,
come è, si precipita sul ponte gridando: "Imbarcazione!
Imbarcazione!" La risata, dalla quale è accolto, lo fa
ritornare in sé e lo fa ritirare in cabina confuso e vergognoso.
Il viaggio continua. Acqua e acqua e acqua. Lo stretto
di Messina è ormai alle nostre spalle. Cala la sera quando
siamo nel tratto più pericoloso del viaggio.
La notte non si dorme.
L'ordine è di stare svegli, senza scarpe, col salvagente
indossato, ogni gruppo vicino all'imbarcazione che gli
è stata assegnata. Malta, covo della rabbia britannica,
non è più tanto lontana. Ma nulla succede.
Rispunta l'alba livida. Ritorna il sole a dar pennellate
d'oro alla distesa di acqua. I caccia continuano le loro
manovre di protezione. Le navi proseguono il loro cammino
a zig - zag. E finalmente, verso le quattordici, si ode
una voce: "La terra!" E' l'Africa! Dapprima è una striscia
scura, appena visibile tra l'azzurro forte del mare e
quello chiaro del cielo, poi, sulla striscia, gruppi di
palme ed infine il biancore delle moschee e dei minareti.
Alle sedici entriamo nel porto. Sopra di noi volteggia
un ricognitore inglese fatto segno ai tiri delle artiglierie
contraeree delle navi e della nostra.
E' il primo saluto della guerra.
Ci siamo.
Sbarchiamo, e siamo trasportati a riva, da moto pescherecci.
Andiamo ad accampare in un bosco di acacie, profumate,
oltre la città. La nuova vita di guerra in colonia, incomincia
così, con una buona dormita sotto un'acacia in fiore,
perfino troppo profumata. In terra, però, vi sono delle
formiche che mordono maledettamente.
FINE DELLA PRIMA PARTE
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