RACCONTI
DI GUERRA
Parte seconda
Da Tripoli alla prima linea.
Km. 1500
…….. Un bombardamento aereo.
Le emozioni, la stanchezza, ma, più di ogni cosa,
la tranquillità datami dalla sicurezza di sentirmi
nuovamente sulla terra ferma, mi hanno fatto addormentare
presto.
Ma non dormo con un sonno pesante, profondo; mi riposa
un dormiveglia tranquillo che, verso le tre, viene rotto
dal primo assalto delle formiche.
Mi arrabbierei contro queste bestiole cattive se non fossi
distratto da qualche cosa di nuovo che sta accadendo.
Un ronzio confuso di motore si va man mano avvicinando.
Una sirena lontana lancia al cielo il suo grido di allarme
che, nella notte lunare, sembra un’invocazione a
protettori invisibili.
Il primo colpo di cannone è subito seguito dallo
scoppio lacerante della granata, annunciato, su in alto
nel cielo, dall’accendersi e, immediatamente spegnersi
di una vampata.
Un cupo boato: è la prima bomba.
Il cielo ora, è tutto tempestato di improvvise
fiammelle. Dalla terra salgono, in volute eleganti, i
proiettili traccianti delle mitragliere, variamente colorati.
Sembra di assistere ai fuochi di artificio di una festa
campestre.
Lo spettacolo, a tratti, rallenta, sembra debba cessare,
ma, come un segnale convenuto, un nuovo scoppio di bomba
lo fa spostare, riprendere, aumentare di intensità.
L’orizzonte è ricamato da centinaia di luci
colorate. Dal cielo scendono, lentamente, i razzi aerei
ad illuminare i bersagli.
Siamo tutti alzati a contemplare e commentare. Dopo un’ora
tutto ritorna tranquillo. Forse, se le formiche saranno
più buone, potrò riprendere il mio dolce
dormiveglia.
…….. Chi canta?
Ho dormito e sognato di essere a casa nel mio letto. Elda,
affacciata sulla porta della camera, mi dice ridendo:”
Papà, questa mattina Giangiacomo diventa proprio
matto; continua a cantare come gli arabi!”
Vittorio, che si è svegliato, mi chiama dal suo
lettino e mi chiede:” Papà vengo li?”
Gli rispondo:” Vieni”, e, mentre lo prendo
in braccio, l’incanto si rompe.
Che peccato! Altro che essere nel mio letto! Sono qui
su una bracciata di foglie secche, avvolto in poche coperte.
Ho le ossa rotte.
Il canto udito in sogno però, continua. E’
una cantilena strana, monotona, accompagnata da un istrumento
a corda.
Mi alzo per sgranchirmi e faccio due passi. Capisco, così,
da dove viene il canto.
Sulla strada vicina passano gruppi numerosi di arabi che
vanno verso Tripoli.
Cantano accompagnati da una specie di mandolino a poche
corde. I cammelli sui quali sono montati camminano dondolandosi
sulle gambe altissime.
Ne vedo passare un gruppo, avvolto in baraccani candidissimi,
seguito da cammelli, carichi di robe, tenuti per le briglie
da servi appiedati.
E’ il gruppo dei notabili e dei santoni. Tra le
mani scarne, tengono la lunga corona dei versetti del
corano. Le loro labbra si muovono ed emettono suoni lamentosi
tra la recitazione ed il canto.
Fa coro ad essi la massa di quelli che li seguono a cavallo
di asinelli, talmente piccoli, che i cavalieri toccano
coi piedi a terra e di quelli che si trascinano a piedi,
appoggiati a lunghi bastoni, malvestiti, sporchi.
Sono pellegrini che vanno a Tripoli per una festa mussulmana.
Accompagnano il loro andare con le loro preghiere. Vengono
dal deserto lontano. Sono già in viaggio da diversi
giorni. Partono all’alba ed alla sera mettono il
campo come i soldati.
Arriva il sole. Sale dall’orizzonte, oltre le dune,
sulle quali stanno due palme che assomigliano a due sentinelle
immobili. E’ una grossa palla infuocata. Di colpo
dalla brezza mattutina si passa al caldo del meriggio.
Il sole ha già invaso ogni angolo e penetra, con
irruenza, attraverso i rami delle acacie.
La prima giornata coloniale è cominciata.
…….. Tripoli
Tripoli si adagia fra i palmeti dell’oasi che prende
il nome della città.
Nel 1911 vi erano solo poche case, poche capanne arabe
e alcuni forti, conquistati d’impeto dai nostri
marinai.
E’ , ancor oggi circondata, per la maggior parte,
dal muro di cinta costruito, a difesa della città,
durante la guerra 1915-18. I ribelli avevano ricacciati
gli italiani sino alla costa obbligandoli a rinchiudersi
in Tripoli. Fortuna nostra che erano armati di soli fucili.
Quando venivano dal deserto, ad attaccare la città,
i nostri soldati li massacravano a cannonate.
Fu così possibile resistere fino a che, finita
la grande guerra, si iniziò e si portò a
compimento la riconquista di tutta la Libia.
Una strada, larga non meno di venti metri, fiancheggiata
da palazzi altissimi, costruiti in stile moderno, con
portici spaziosi e negozi lucenti, passa davanti alle
costruzioni dell’esposizione e sbocca in piazza
Italia che è dominata dal palazzo del governatore.
Sulla scala esterna di questo sta, di sentinella, un ascaro
libico bronzeo ed immobile come una statua.
Al centro una fontana monumentale, circondata da piante
frondose, rallegra l’ambiente.
In piazza Italia ha inizio il magnifico lungomare. Due
file di palme alte, limitano i due viali bellissimi fiancheggianti
l’ampia strada asfaltata. Aiuole leggiadre, sedili
colorati, colonnine con cesti contenenti piante di fiori
allietano la vista ed allargano il cuore. Fontanelle graziose
danno freschezza a tutto l’insieme.
Il mare azzurro, quello stesso che bagna le coste d’Italia,
frange i suoi flutti sulla scogliera sottostante.
Procedendo oltre si trova il porto; luogo dove ferve la
vita di lavoro intensa per lo scarico dei rifornimenti,
viveri e materiali, necessari alle colonne dell’asse,
che inseguono gli inglesi in rotta.
Piroscafi, dai nomi italiani, svuotano le loro stive capaci
sui moli brulicanti.
Soldati italiani e tedeschi sono affaccendati e sudati.
Gli arabi cantano le loro nenie lavorando con una lentezza
esasperante che, a noi, abituati alla vita dinamica, dà
ai nervi.
Autocarri, motociclette, carri armati, appena toccano
terra vengono messi in moto e partono veloci per la loro
destinazione.
Case che portano i segni dei bombardamenti aerei.
Al largo, verso l’entrata, una nostra nave ospedale,
colpita dagli aerei inglesi pochi giorni fa, sta adagiata
su un fianco.
La bella chiesa del convento dei cappuccini, per chi si
allontana dalla baraonda del porto, è un’oasi
di pace confortevole dove la preghiera sale spontanea
alle labbra.
Altre strade, altre piazze: Biancore di muri candidi;
verde scuro di palme, colori vivaci di giardini fioriti.
Si passeggia volentieri anche se fa molto caldo.
Lungo i marciapiedi vi è abbondanza di lustrascarpe
che stanno accoccolati dietro alla loro cassetta. Per
richiamare l’attenzione dei passanti vi battono
con insistenza la spazzola.
Quando passa loro davanti qualcuno che ha le scarpe sporche
battono più forte e più svelti.
Pare che vogliano dire: - Ehi! Non le pulisci?
Gli arabetti che vendono le gallettine arrostite hanno
il loro negozio in un ombrello rovesciato. I pacchettini
di dieci gallettine costano una lira. Vi sembra esagerato
il prezzo? Facendo la faccia contrita e la voce piagnucolosa
gli arabetti tentano di convincere che non è vero:
- Arabo meschina (meschino), mafisc (niente) guadagnare.
Passano carrozzelle cariche di arabi dai vestiti multicolori.
Il mercato arabo è una città araba nella
grande città europea.
Gente di tutte le razze e di tutti i colori dal caffè-latte
chiaro al nero-fumo.
Donne arabe, dalla faccia tutta coperta, con una specie
di fagotto di stracci sui reni (è fatto per portare
i pesi); ebree vestite di bianco, cariche di braccialetti,
con tante fasce attorno alla vita da diventare grosse
come botti; arabi con baraccani magnifici e straccioni
luridi che portano una specie di camicia sui pantaloni.
E dappertutto piccoli arabetti sporchi, dagli occhi cisposi
che scorazzano per queste strade strettissime. Date ad
uno un po’ di confidenza! Dopo pochi miunuti ne
avrete intorno uno sciame, noiosi, insistenti come le
mosche. Non vi abbandonano più e vogliono, per
forza, portarvi il pacchetto che avete in mano, insegnarvi
la strada, vogliono la (sigarèta).
Si chiamano quasi tutti Ali. Portano calzoni di tutti
i colori e, sopra questi, la solita camiciola. Sotto la
berrettina hanno i capelli riuniti in treccia, formanti
un grazioso codino.
Questo del codino è un piacere che fanno a Maometto.
Come farebbe il profeta e dove li acchiapperebbe, se non
avessero il codino, per tirarli su nel loro paradiso?
Le botteghe sono talmente piccole che il cliente non può
entrarvi. Deve fare gli acquisti stando in strada. Per
fortuna qui il tempo sta mesi e mesi senza dare una goccia
d’acqua!
Tappeti e tappeti. L’arabetto vi insegue petulante:
- Comperale tapeta signor capetana.
Ogni tanto una bottega di artigiani, che cesellano l’argento
con rara maestria fabbricando braccialetti ed anelli graziosi.
Su tutto e su tutti un odore poco gradito, quando, dopo
la visita a Tripoli, ritorno sotto la mia tenda, nella
libertà della campagna aperta, mi sento meglio
e respiro a pieni polmoni.
Gli arabi di Tripoli sono vicini al mare, ma ho l’impressione
che vi si buttino di rado.
Che abbiano paura che Maometto non arrivi a prenderli
per il codino, in caso stessero per affogare?
…….. Pasqua 1941
Buona Pasqua! L’attendente ha aperta la tenda e
mi ha presentati gli auguri.
Già, oggi è il giorno di Pasqua!
Fuori è una brutta giornata. Spira un vento noioso.
Nuvole scure con pennellate rossastre, pesano sulla terra
e mi rendono più triste.
Pasqua!
Gli altri anni, a quest’ora, mangiavo l’uovo
del Venerdì Santo, che aveva preparato mamma Orsola.
Potevo accarezzare, se ne avevo voglia le vostre testine,
miei piccoli. Avevo vicino te, mia Rina!
Quest’anno sono qui, solo, lontano da tutti, a poca
distanza dalla guerra.
Il Signor Colonnello Comandante ci riceve, per gli auguri,
nella sua tenda. Si contraccambia e quando pronuncia le
parole, anche per le vostre famiglie, molti occhi si abbassano,
forse per nascondere una lagrima che è li, li,
per spuntare!
Il reggimento si riunisce in armi per la Santa messa.
L’altare è sul pendio di una duna. Ai lati
due mitragliatrici e un fascio di moschetti.
I bei battaglioni formano un grande quadrato. Al centro
il Comandante.
Al vangelo il nostro cappellano parla. Parla come un soldato
deve parlare a soldati.
Il suo discorso è di conforto ai nostri cuori.
Guidati dalle parole illuminate del sacerdote, nella morte
e nella resurrezione gloriosa del Divin Redentore, troviamo
l’esempio da seguire: sacrificarci, compiere a tutti
i costi il nostro dovere per la grandezza della fede e
della Patria, per un ritorno della giustizia fra i popoli,
per poter ritornare felici alle nostre case.
I bersaglieri finita la messa, ritornano agli accampamenti
intonando le loro canzoni. “Canta che ti passa”.
Anch’io vorrei cantare, per ricacciare in gola l’assalto
dei ricordi e l’amarezza della nostalgia! Non posso!
Oggi è giornata grigia!
Forse mi scuoterò a tavola. E’ annunciato
un grande pranzo:
pastasciutta;
carne in scatola con fagioli lessi;
caffè;
vino a volontà, ma non più di un quarto!
Ah! I tacchini arrosto e le buone torte della zia Domenica!
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