Tutto
comincia verso la metà di settembre del '40 con
due Compagnie piumate sfreccianti per la Marmarica in
testa ad una Divisione di indigeni del Raggruppamento
celere comandato da quel Pietro Maletti già incontrato
nel 1936 durante la Campagna per la conquista dell'impero.
Lui è una fra le più belle figure del bersaglierismo
coloniale.
Nato con il calore dell'Africa nelle vene, otto volte
decorato al valore, sostiene l'urto principale delle forze
inglesi ad Alam el Nibejwa in mezzo ai suoi bersaglieri
che si battono senza risparmio. Attacca e respinge senza
tregua, contrattacca alla baionetta in furiosissimi assalti
l'irrompente furia dei mezzi cingolati che travolgono
tutto.
E' ferito e non si arrende; ordina al capitano Sigfrido
Burroni un nuovo attacco alla baionetta; Burroni si slancia
all'impazzata, ferma l'avanzata e cade fulminato: medaglia
d'Oro!
Con lui vi è il V Battaglione libico comandato
dalla medaglia d'Oro del Piave Umberto Visetti, bersagliere
diciannove volte ferito e dieci volte decorato e più
tardi francescano con il nome di Padre Agostino di Cristo
Re.
Il 9 dicembre, dopo tanti sacrifici, dopo tanti assalti
e lotte cruentissime solo i morti restano a guardia delle
sabbie conquistate, fra essi, la magnifica figura di Pietro
Maletti mantovano di Castiglione delle Stiviere, medaglia
d'Oro, uno degli ottantaquattro ufficiali generali caduti
combattendo accanto ai loro soldati.
Nel flusso della battaglia intervengono anche i reparti
dei colonnelli Criniti e Gloria, bersaglieri di vecchia
scuola, ma anch'essi non riescono a contenere la manovra
inglese sorretta da decine di mezzi corazzati e di modernissime
attrezzature e si sacrificano per alleggerire la ritirata
dei camerati spinti dal peso prepotente dell'8ª Armata
inglese.
Tobruck ha resistito per oltre un mese e la 22ª Compagnia
motociclisti del 10° che è stata l'epicentro
della lotta nei dintorni di El Adem mentre il Reggimento
si batteva per contenere la pressione, ripiega su Tripoli
con il minor numero possibile di perdite e con l'onore
intatto.
Durante la manovra a Ghelise Agedabic il 5 febbraio del
'41 il messinese Oreste Toscano che protegge il fianco
del Reggimento è ripetutamente attaccato da mezzi
corazzati avanzanti e riesce a contenerli. Si aggrappa
alla torretta di uno di essi e tempesta l'interno di colpi
di bombe a mano; una raffica gli strappa la mano destra,
alza il moncherino sanguinante ed incoraggia i suoi bersaglieri
alla lotta. Solo più tardi si lega l'arto mutilato
e a stento è portato al posto di medicazione. Lungo
il cammino è fatto prigioniero e schernito.
Fugge con una motocicletta avventurandosi nel deserto
verso le nostre linee, verso la libertà. Incontra
autocarri abbandonati colmi di feriti e moribondi d'ambo
gli eserciti e forma una Colonna con oltre trecentocinquanta
nemici abbandonati morenti nel deserto e dopo una marcia
di due giorni, fra sofferenze inaudite e centinaia di
chilometri giunge ad El Ageila sfinito e sorridente per
la vita salvata a tanti compagni ed a tanti nemici: medaglia
d'Oro! Di questo spirito sono nutriti e ne vanno orgogliosi
i bersaglieri d'Italia sempre pronti al rispetto dell'onore
della Patria e della vita del soldato di tutte le Bandiere!
A Meterh il tenente Ranelli dell'8° soccorrerà
un ufficiale inglese agonizzante e con lui starà
fino alla morte per coprirgli il petto squarciato con
la Bandiera del suo paese.
Ad El Dabah il 5 luglio dell'anno dopo l'ospedale da campo
rigurgitava di feriti e di moribondi; i chirurghi non
riuscivano a fronteggiare il lavoro. Barelle e autoambulanze
scaricavano in continuazione il loro prezioso straziante
fardello. Ad un giovane tenente medico portarono un ferito
in condizioni disperate, con il ventre squarciato, ma
calmo e sereno; « non perdere il tuo tempo con me
dottore; sono un soldato e so che devo morire; occupati
invece di quelli che devono vivere ». E' la risposta
di Achille Motta maggiore anche lui del grande 8°
comandante la base della Divisione Ariete e non aveva
ancor visto l'ordine del giorno che lo promuoveva tenente
colonnello. Lo seppelliranno nel cimitero del luogo in
prima fila e con scritto sulla croce il suo nuovo grado.
L'Armata di Graziani è battuta.
L'8ª Divisione corazzata inglese e la 6ª australiana
dilagano per la Tripolitania mentre a Tripoli sbarcano
due Divisioni corazzate tedesche, la nostra Ariete comandata
da Ettore Baldassarri con l'8° bersaglieri di Ugo
Montemurro e le Divisioni Trento e Trieste; di quest'ultima
fa parte l'intero 7° Reggimento agli ordini di Enrico
Duranti. E' un forte complesso di uomini e di mezzi agli
ordini del tedesco Erwin Rommel.
Rommel! chi è costui? La fantasia del soldato italiano
in terra d'Africa si sbizzarrisce sulle capacità
dell'uomo e sulle possibilità degli alleati. Dice
che per ogni tedesco in linea ce ne vorrà uno dietro
a mandare i viveri e le munizioni a quello che sta davanti,
mentre per ogni italiano ce ne vogliono quattro ai comandi
e ai servizi; dice sempre la radio gavetta che basterà
un tenente dei loro per fare quello che ora fanno cinque
colonnelli italiani e dice ancora la fantasia nostrana
che essi sanno morire sul posto piuttosto di cedere un
palmo e tante, tante altre cose dice questa benedetta
e pettegola voce del soldato italiano che tra breve, al
confronto con l'alleato, si mostrerà di gran lunga
superiore in forza ed in ardimento e soprattutto in dignità
d'uomo che veste una divisa ed ha prestato un giuramento.
Non indietreggeranno, no, anzi correranno spesso a tamponare
le falle dei camerati quando nei momenti più tristi
della Campagna adotteranno la tattica elastica di sganciamento.
Ma di Rommel che si dice?
In realtà egli è un grande generale che
oltre a superlative qualità militari ne ha due
rarissime. La prima è la fortuna: quella che Napoleone
prescriveva ai suoi generali.
Ebbe fortuna infatti da tenente quando alla testa di due
Compagnie alpine bavaresi catturò in poche ore
centocinquanta ufficiali italiani con novemila uomini
e ottanta cannoni nei pressi di Monte Matajur nell'ottobre
del 1917. La seconda qualità è l'orientamento
perfetto durante la baraonda delle battaglie. Intuisce
fulmineamente dove si crea una situazione difficile e
vi piomba con i suoi reparti; il numero del nemico e la
sproporzione delle forze non gli interessano.
Se ne infischia dei superiori italiani e tedeschi da cui
dipende e, quando occorre, fa intervenire Hitler e Mussolini,
che gli danno carta bianca senza tanti riguardi.
Con queste dosi di fortuna, di competenza e di faccia
tosta, alla militare si intende, inizia il 28 marzo del
1941 con l'Africa Korps la riconquista della Cirenaica
ponendo alla testa delle sue Colonne quale punta avanzante
quella che prenderà il nome dalle iniziali del
suo comandante Ugo Montemurro, la Colonna M che sfreccerà
veloce nel deserto per trecentocinquanta chilometri fino
ad El Mechili rifacendo alla rovescia il percorso tristemente
misurato dai 100 nella sua ritirata. Aggira il nemico
con una tempestiva manovra a sorpresa il primo aprile
costringendo alla resa l'intero presidio inglese di El
Mechili a sud di Derna e catturando due generali, due
colonnelli, una sessantina di altri ufficiali e ben tremila
soldati con un grosso bottino di armi e munizioni.
Homs, Misurata, Sirte, Agedabia e tutto il deserto sono
tagliati dalla corsa veloce dei piumati e Gambier-Perry,
il generale inglese comandante del presidio catturato,
non ha avuto il tempo di reagire alla sorpresa.
Il nostro alleato scriverà a suo merito tanto ardore
e tanta nostra vittoria per aver fornito qualche mezzo
di appoggio ma l'onore è tutto dell'8° e del
suo comandante al quale lo stesso Perry dirà nell'atto
di consegnargli la pistola: sono fortunato di essere fatto
prigioniero da lei colonnello Montemurro: ammiro il valore
dei suoi bersaglieri. Rommel lo decora sul campo della
Croce di Ferro di Prima Classe.
Arriva allora in linea il 7° dopo una lunga e logorante
marcia attraverso il deserto e si inserisce nello schieramento
avvolgente delle truppe intorno alla piazzaforte.
La resistenza è dura e spesso ha il sopravvento
sui nostri reparti attaccati dalle continue scorribande
corazzate e dagli australiani che uscendo da Tobruck,
specie agli ultimi di aprile, investono il III Battaglione
sistemato nei pressi di Acrona e lo impegnano duramente.
Cade il comandante tenente colonnello Fabris che con i
suoi uomini si era già distinto nell'occupazione
di El Mechili in testa alla Colonna M. Il Battaglione
però contiene brillantemente l'urto e si riporta
sulle posizioni abbandonate dopo il primo smarrimento.
Dopo una corsa tutta tirata nel deserto intervengono la
Pavia, la Brescia e la Vª Divisione tedesca, l'Ariete
ed il V Battaglione dell'8° del maggiore Caggetti.
Montemurro è lontano: Rommel lo ha destinato a
compiti di diversione.
Il primo maggio il V sferra l'attacco ai fortini della
piazza senza l'appoggio tedesco; è accompagnato
solo dalla 142ª Compagnia cannoni del tenente Quartuccio,
da alcuni pezzi di artiglieria divisionale e da lanciafiamme
e riesce a costituire, dopo aspra contesa, i capisaldi
di Bir Scerif e di Caser-el-Cleka.
Il 4 è un continuo e incalzante susseguirsi di
attacchi e contro attacchi e la lotta si fa cruentissima;
Gaggetti è ferito e con lui il capitano Accatatis
ed il tenente Bertolini. Le artiglierie tedesche entrano
finalmente in appoggio e i capisaldi restano ai bersaglieri.
Anzi, quello di Ras-el-Medauar, più sbrigativamente
chiamato n. 7, è occupato e perduto e ripreso più
volte sotto una valanga di ferro e di fuoco delle armi
nemiche di tutti i calibri e sotto i colpi di pugnale
degli australiani inferociti. Cinque ufficiali cadono
fra gli impedimenti di quella Ridotta e fra essi Giovanni
Padovani da Arcale nel veronese ed il sottotenente Achille
Formis padovano impostisi all'ammirazione ed al rispetto
dello stesso nemico: medaglie d'Oro!
E' una valanga di ferro e di fuoco che si abbatte sui
reparti del V e su tutta l'Ariete la quale si impone al
rispetto di tutti e all'ammirazione del generale Baldassarri
che dirà il giorno seguente: sono fiero di comandare
truppe così valorose, cui farà eco il convincente
elogio di Rommel: i vostri bersaglieri hanno compiuto
cose straordinarie nelle ore decisive del combattimento
definitivo.
La resistenza nemica è sempre valida e le sue capacità
di offesa spesso sono insostenibili.
La Pavia e la Trento, continuamente investite, chiamano
ad alleggerire il peso i bersaglieri di Duranti. Corre
il 7° che si era schierato ad est del sistema difensivo
di Tobruck sulla via Balbia per impedire ogni ritirata
al nemico e, coinvolto nell'azione, deve affrontare con
i suoi pezzi da 47/32 le grosse corazze inglesi per ristabilire
l'equilibrio della giornata.
La Compagnia controcarri del capitano De Lama distrugge
parecchi carri e il X Battaglione del maggiore Rosani
si porta fin sotto il tiro delle armi automatiche nemiche
che accompagnano i mezzi corazzati.
Ugo Montemurro usato da Rommel nelle punte più
avanzate della sua spericolata avanzata nel deserto, piomba
su passo Kalfaia a sostegno della nostra difesa e concorre
a bloccare la strapotenza dei mezzi inglesi, la 72ª
Compagnia cannoni del tenente Fustichelli e quella decimata
del capitano Arrivella si prodigano fino all'esaurimento.
Il nemico non passa, ma a Sollum ed a Ridotta Capuzzo
sorprende lo stesso Montemurro piombato da poco come un
falco in mezzo a quelle posizioni.
Gli atti di valore non si contano.
I pezzi controcarro della 72ª solleticano a mala
pena le corazze nemiche e sono sopperiti dal valore di
chi, carne contro acciaio, si butta contro i carri, armato
di bombe e di bottiglie incendiarie per rompere i cingoli.
Le granate schizzano dalle corazze e si ritorcono contro
gli offensori; la sabbia ribolle per le raffiche delle
armi automatiche, c'è fumo e fragore dappertutto
e odore di polvere e di mitraglia e, in ogni dove, lo
sguardo lugubre della morte.
Cade il sottotenente Vittorio Rini della 72ª; non
ha ancora compiuto i ventidue anni e si era appena fatto
il piumetto nuovo. Eugenio Orsini si guadagna la medaglia
d'Argento.
Il mio più alto elogio ai bersaglieri, dirà
in quello stesso giorno il comandante della 15ª Divisione
corazzata tedesca.
A questo elogio fanno eco i difensori di Ridotta Capuzzo
con Giacinto Cova di Brisighella che contengono la furia
nemica oltre la via Balbia. Quasi indemoniati i bersaglieri
sgranano raffiche di mitraglia come rosari; i pezzi sparano
continuamente sui carri sebbene le granate non riescano
a scalfirne le corazze; gli stukas tedeschi in appoggio
alla difesa colpiscono i piumetti anzichè il nemico
ed i rifornimenti ritardano l'arrivo per l'inferno di
fuoco che sbarra il cammino.
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