Tutti
si sono comportati da eroi! Da Gherardini, a Follini,
all'ultimo bersagliere hanno superato loro stessi destando
l'ammirazione anche del nemici. Gruppi di bersaglieri
a presidio di caposaldi, dopo aver finito le munizioni,
rifiutano la resa e si buttano sui carri con qualsiasi
mezzo al grido: morti sì, vivi mai! E per i morti
e con i morti, tutti i tuoi morti, o bersagliere Gherardini,
e per i pochi vivi che ti sono rimasti al fianco, brilla
la seconda medaglia d'Oro al valore collettivo, dopo aver
dato alla battaglia comune eccezionale contributo di fede
e di sangue, in sette giorni di titaniche gesta e per
aver respinto le preponderanti forze nemiche e mantenute
le posizioni oltre i limiti delle possibilità umane!
Quanta gloria e quanto sangue!
Onore a voi tutti o Uomini del grande 8°! Onore a
voi Gherardini e Follini che nella mischia guidaste una
falange stupenda di petti verso la gloria e verso la morte!
Forse Leonida alle Termopili vi ha eguagliati!
Giovanni Messe non potendo dar tregua al nemico sul terreno,
da buon bersagliere lo vince in astuzia con sorprendente
maestria ed in soli quattro giorni si sgancia dalle avanguardie
inglesi per raccogliersi sulla più difendibile
linea di Akarit dove le asperità del terreno possono
supplire, almeno in parte, la mancanza dei mezzi corazzati:
uno contro trenta.
Anche qui però resistere significa morire ancora.
Il duello fra le opposte artiglierie non regge confronti;
fra Akarit e Sciotta il terreno in nostro possesso è
bruciato dalle granate.
Il 6 aprile Montgomery sferra l'attacco da lui stesso
definito il più duro e il più selvaggio
della Campagna. E' la battaglia di un giorno, ma ne vale
mille. Qui il combattimento è il più aspro
dopo quello di El Alamein; è un mare di sangue
che arrossa le colline tunisine e permette solo alle provate
unità tedesche e italiane di ripiegare su Enfideville.
Estrema retroguardia dell 'Armata che ripiega sono ancora
i bersaglieri di Follini, di Sozzani e di Gherardini mentre
il 7° nell'ultimo guizzo della sua vita, ridotto a
duecento uomini e ad una decina di ufficiali, si frantuma
a Capo Bon dove è assorbito dalla Divisione Spezia
di Arturo Scattini e della quale Nicola Straziota diventa
vice comandante.
Scompare uno dei più bei Reggimenti piumati che
ha sempre offerto in ogni circostanza prove di leggendario
valore, come sta scritto nella sua medaglia d'Oro.
Anche la 5a tedesca è sulla via del ripiegamento.
Tutti resistono contro un nemico strapotente che incalza
da ogni parte e converge i suoi sforzi sulla linea del
mare di Hammamet verso Enfideville, per l'ultima decisiva
battaglia di annientamento.
Mancano le munizioni; non esistono più i carri,
dal cielo non viene nessun aiuto e Messe imbastisce l'ultima
sua tremenda difesa a Enfideville estremo baluardo sul
quale si arrocca più idealmente che con mezzi di
guerra.
Qui il valore ed il sacrificio abbraccia tutti. Qui la
90° Divisione tedesca, la Pistoia, la Trieste e la
Spezia recitano le ultime battute del dramma durato venti
mesi in terra africana.
Ultimo avanzo dei nostri gloriosi piumetti sono rimasti
il XXIV Battaglione del maggiore Rotelli e la 5' motociclisti
entrambi del 5° svenatisi nei precedenti attacchi,
forse cinquecento uomini, e i fantasmi dell'8° altro
non fanno che seguire l'ultima impresa di questi fratelli.
E' il 19 aprile quando l'8' Armata inglese inizia la sua
sarabanda di fuoco contro l'ultimo caposaldo della difesa
sistemato a Takruna. I neozelandesi si lanciano con travolgente
ardore contro i reparti della Trieste che resistono per
oltre due giorni sostenendo la lotta più dura dell'Armata
verso il mare, mentre tutto il resto della linea passa
al contrattacco conscio dell'inutile sacrificio fatto
di onore per le armi e di amore per la Patria lontana.
I pochi del 5° con i veterani del 100 ed i pochissimi
dell'8' fanno ancora mordere il terreno a 'Montgomery.
Sulla Quota 141 i Bersaglieri d'Africa di Sozzani, di
Tanucci e di Follini resistono all'attacco fino allo spegnersi
della battaglia e non cedono di un palmo confusi con i
morti. Le dieci medaglie di Follini in quei giorni brillano
di una luce più intensa. E' il più ammirato
di tutti; senza di lui quei ragazzi non avrebbero potuto
agguantare la costa del mare; lui ha in mano tutta la
situazione della Divisione, sempre' primo nei momenti
difficili e sempre presente nei posti peggiori; tutti
stupiscono di fronte alla sua umile grandezza ed al suo
passato di grande soldato. In una sosta della battaglia
qualcuno ha trovato una scatola di latte condensato e
subito l'ha portata a lui che sembrava l'avesse meritata
più di chiunque; una rarità prelibata, preziosa,
inattesa in quei frangenti: datela a qualche soldato che
ne abbia veramente bisogno, fu la sua risposta.
Nelle ultime disperate ore della battaglia Messe utilizza
ancora i Testi del 5° e del 10° che mostrano ormai
i segni convincenti dello sfinimento giunto oltre i limiti
della sopportazione. Sostengono il ripiegamento dei comandi
superiori della 5' Armata tedesca fino a Biserta, e questo
compito, assolto con dedizione, riduce ancora le già
depauperate unità.
In mezzo a tanto eroismo scompare il grande 8° non
prima di aver beffato in una atroce è disperata
vendetta la 4' Divisione indiana e la 2' neozelandese
con eccezionale contributo di fede e di sangue.
E' questione di ore ormai.
Messe, disposto a vender cara la sua vita e quella dei
suoi uomini intende accomunare l'alleato tedesco nell'estrema
difesa e nel sacrificio finale, ma Von Arnim, seguendo
l'ormai inveterata abitudine, tedesca di questa Campagna,
abbandona tacitamente le posizioni trascinandosi i resti
del 5° e del 10° a protezione sua fino a Biserta:
adotta quella tattica elastica della quale le nostre Divisioni
ne fanno ancora dura spesa e lascia ai bersaglieri il
compito ed il sacrificio di difenderlo. Nello sfondamento
che subisce fa intervenire la sua 7' e 15' Divisione e
i bersaglieri compiono i loro ultimi atti di valore battendosi
alla baionetta.
Si arriva a un complesso tale del bersagliere che una
sparuta squadra piumata tiene testa per intere ore a Battaglioni.
Suonano le ultime ore! Von Arnim vola con la 5' Armata
verso Tunisi e lascia scoperto anche il fianco destro
dello schieramento.
Con una azione che solo un bersagliere può concepire
in fretta e con l'animo ardente di grande italiano, Giovanni
Messe rovescia il fronte e si dispone a difesa come in
un Quadrato delle antiche battaglie risorgimentali, deciso
a morire per l'onore dei colori della terra che lo ha
mandato laggiù a combattere.
Ed i Figli di Lamarmora punteggiano ancora di piume svolazzanti
il suolo di Tunisia fino a Capo Bon sotto il più
tremendo diluvio di bombe dell'ultima ora che sta per
suonare.
Così abbandonati, gli uomini di Messe non si arrendono
ancora; si stringono sulla linea di Grombalia-Hammamea
con la disperazione nel cuore, pronti a morire.
I resti ormai irriconoscibili delle unità cremisi
frammisti ad alcuni tedeschi che non hanno voluto seguire
il giorno prima Von Arnim nella resa di Biserta non accettano
la sconfitta fino al totale esaurimento delle munizioni
e delle forze. Il giorno 10 il Gruppo di combattimento
Lodi è sopraffatto con le armi in mano. Interviene
Arturo Scattini con un pugno di uomini di quella che fu
la Divisione Spezia, che ora vive solo per il comandante
e per lo spirito cremisi che in essa ha saputo trasfondere,
e si batte nell'ultimo turbinio di colpi, di caroselli
di carri armati, di voli radenti di aerei e di cariche
travolgenti di fanterie.
Alle ore 19 del 13 maggio il Comando Supremo ordina il
cessate il fuoco e l'ardore degli ultimi uomini si spegne
attorno a questo bergamasco che un tempo fu colonnello
del 9° a Zara e che più tardi sarà il
Presidente Nazionale dei Figli di Lamarmora.
La Bandiera italiana alitata dal vento del deserto è
l'ultima a garrire nella luce africana con dignità
ed onore. Porta fra le sue pieghe svolazzanti i ricordi
di grandi gesta e di sacrifici sfortunati ed esaltanti;
attraverso il Mare nostrum porta l'ultimo addio dei Caduti
del deserto alla Patria lontana dove uomini irresponsabili
o consci di quanto stava succedendo preparavano i patti
oscuri di una resa senza nome.
In quei momenti però le anime semplici e generose
dei vecchi bersaglieri scrivevano al loro antico comandante
di Battaglione: caro signor maggiore Giovanni Messe, siamo
felici, noi vecchi Arditi del suo Battaglione del Piave,
che sia diventato Maresciallo d'Italia!
E fu cavalleresco il nemico, per vincere il quale lui
avrebbe patteggiato anche con il demonio, che concesse
l'onore delle armi ai suoi prodi ad a lui quello di trattenere
la rivoltella anche in prigionia quale omaggio a tutti
i Soldati. Vinti sì, ma con la fronte rivolta al
sole ed alla stella d'Italia.
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