Ass. Naz. Bersaglieri Sez. di Desenzano
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LA CAMPAGNA D'AFRICA - Dal libro "I figli del vento e della vittoria" di Fausto Mandelli

Ai primi di agosto l'offensiva Delta si scatena e sulle nostre punte avanzate di attacco piove il fuoco di centinaia di cannoni da 25 libre e di grossi stormi di aerei ultra carichi di bombe. Le nostre artiglierie non reggono e l'aviazione è insufficiente; i nostri carri non resistono alla potenza dei colpi avversari e le munizioni sono in cammino lungo i cinquecento chilometri del percorso e tardano ad arrivare.
L'esultanza della vittoria svanisce: in tutti serpeggia un accorato pessimismo e si fa sempre più palese negli alti comandi la volontà contraria a continuare la guerra, anzi, sembra sia in loro il segreto desiderio di una sconfitta.
La Volpe avverte tutto questo ma non vuole arrendersi e gioca l'ultima sua carta. Non è ancora convinto di aver perso l'ultima battaglia perciò il 30 agosto con il X, il XX e il XXI Corpo d'Armata tenta, con una azione disperata, di sconvolgere l'estremità meridionale del fronte cadendo oltre lo schieramento britannico per costringere Montgomery alla resa e alla fuga.
Crede ancora nel miracolo dei piumati e costituisce tre Colonne ponendo in testa ad ognuna di esse i resti del 7°, dell'8° e del 90 lanciati alla disperata in una azione sterile ed impossibile per la mancanza di mezzi e soprattutto di rifornimenti. Fu un vero sabotaggio, dirà più tardi Rommel nelle sue memorie; i fusti di benzina provenienti dall'Italia erano per due terzi pieni di acqua.
In Tunisia intanto sbarcano forze nemiche che più tardi premeranno quelle dell'Asse in una morsa così feroce da costringerle alla resa mentre El Alamein è sempre più cinta da poderosi campi minati che impediscono ogni ripresa di attacco. Il 23 ottobre, quindici Reggimenti inglesi appoggiati da un numero sterminato di artiglierie, di carri, di autoblindo, di cannoni semoventi e da innumerevoli squadriglie di aerei incominciano la grande offensiva.
Alle ore 20,30 senza alcuna salva preliminare di aggiustamento, tutta la linea si accende di fiamme che in breve formano una lunghissima barriera incandescente. Sopra i capisaldi passano a migliaia le vampate rosse delle granate, prima nitide, poi confuse nel fumo e nel polverone. Il cielo è pieno di tuoni e di bengala luminosi; sulle posizioni di resistenza e di avanguardia, sulle piste, nelle buche, sugli attendamenti e nelle baracche è tutto un fruscio sibilante di bombe che cadono e scoppiano con schianto lacerante mentre la catena delle autoambulanze e degli autocarri carichi di carne straziata si allunga nel deserto per tutta la notte sotto il fuoco che non accenna a diminuire e le bombe delle fortezze volanti che verso l'alba fanno la loro triste apparizione battendo a tappeto tutto il fronte.
La prima pressione gravita sulla Trento e sulla 164' tedesca. Sono trecento carri pesanti e venticinque Battaglioni freschi protetti da una spessa coltre di fuoco che investono undici Battaglioni logori distesi su dieci chilometri di fronte. E' la tragedia. Il III Battaglione del 382° Reggimento tedesco sembra sia stato il primo a cedere. Ma chi mai saprà la verità in questa confusione, in una pianura nera di carri armati e sotto un cielo bianco di aerei! I nostri striminziti Battaglioni subiscono la furia della 9' e della 10' Divisioni corazzate inglesi, della 9' australiana, della 51' Highlanders britannica, della 2' neozelandese, della 1' sudafricana e della 4' indiana.
Il 31 ottobre, dopo nove giorni di battaglia, tutto è consumato! Le forze corazzate della Littorio e della 15' Panzer che sono di rincalzo intervengono quando ormai davanti a loro non ci sono più fanterie e le loro batterie sparano a zero contro la marea dei grossi Sherman, vere testuggini che fanno la loro prima apparizione nel deserto. E' l'epopea del XXIII e del XXVI Battaglione del 12°, degli artiglieri del 133° corazzato e dei Battaglioni carristi che respingono il nemico. A Quota 33 ed a Quota 28 vanno all'attacco e camminano in fila come se andassero al cambio della guardia! Nessuno corre; solo qualcuno ogni tanto cade! Anche il 7° si butta nella mischia con l'XI Battaglione del capitano Pasqualini fatto affluire in gran fretta sulla linea; arriva anche il colonnello comandante Nicola Straziota, gran soldato all'antica, che si lancia sulla quota e la conquista. E' il 26 ottobre; il 28 gli australiani la riprenderanno annientando tutto quell'eroico Battaglione!
Della 7' Compagnia guidata dal triestino Ezio Fortunato Malis non restano superstiti all'infuori di alcuni feriti raccolti dal nemico in mezzo ai cadaveri. Il 31 anche il bergamasco Roberto Gorla, arrivato sei giorni prima dall'Italia, sarà raccolto su quelle posizioni, in mezzo a tutti i bersaglieri della sua Compagnia, come lui, morti.
Si combatte corpo a corpo. Gli australiani ubriachi, sembrano impazziti.
Alla Quota 24 si consumano gli ultimi resti della Trento e del V Battaglione di Amadei, ultimo rimasto del Reggimento; Mario Guainazzi che aveva inalberato il Tricolore a Marsa Matruh si prodiga sotto i rottami di un ricovero a rincuorare alcuni compagni rimasti feriti. Dell'intero Reggimento solo seicento vivono ancora e si battono a sud della zona tenuta dalla Folgore comandata da Frattini e dal vecchio bersagliere Giovanni Varando ed il nemico non progredisce nemmeno un palmo; solo la fortuna e la prepotenza dei mezzi gli daranno ragione molte ore dopo.
Il Reggimento si guadagna la medaglia d'Oro al valore collettivo perché costantemente aggressivo nel contendere lembo a lembo il terreno a potenti unità corazzate tenendo ovunque il prestigio delle armi italiane superbo nelle epiche impari lotte come nel sacrificio. Tre volte decimato, tre volte ricostruito, f u sempre pari alle sue gloriose tradizioni.
Nella battaglia anche l'8° è impegnato nei pressi di Deep Wal dove gli manca l'aiuto della Trieste che ripiega in ritardo. Compie prodigi di valore sacrificandosi come il 7° quasi alla totalità, guadagnandosi anche lì la sua prima medaglia d'Oro: sintesi stupenda di sacrifici e di eroismi compiuti ad El Mechili, a Tobruck, a Kalfaia ed in tutti i posti dove Ugo Montemurro e Gherardini lo avevano guidato.
In continuo contatto con il nemico più forte ed implacabile ha sempre opposto alla maggior forza il coraggio, alla implacabilità la fierezza stoica, ed ha avuto in ogni confronto, schiacciante ragione. Lo stesso nemico ha espresso la sua ammirazione per i fanti piumati del Reggimento, espressione purissima delle virtù guerriere dell'italica stirpe.
L'urto è violentissimo; mille colpi al minuto secondo si abbattono sul settore della sua difesa sparati da un numero infinito di cannoni e da innumerevoli Battaglioni di fanteria d'assalto seguiti da centinaia di autoblindo e sorvegliati da una miriade di carri di riserva pronti a gettarsi nella mischia.
I bersaglieri lottano come vuole la tradizione del Corpo; si fanno uccidere piuttosto di arrendersi.
Dieci contro uno gli uomini; uno contro trenta i mezzi; carne contro acciaio, piume contro cannoni, fame e sete contro la ricchezza e la grandiosità dei mezzi, desiderio di vincere oppure di morire così come aveva insegnato il Fondatore.
Il nemico è deciso a tutto; troppo alta è la posta di questi giorni; le Armate italo-tedesche devono essere totalmente eliminate dal deserto. Nuovi e nuovi reparti corazzati vengono buttati in ripetuti assalti nella lotta che vede il loro sopravvento su tutte le Quote il 2 novembre.
L'8° accerchiato con i resti dell'Ariete, si svincola, scompare e ricompare là dove la mischia è più furibonda per scomparire nuovamente e ricomparire di nuovo fino a quando non sparirà per sempre nel nulla...
Così il 9° con l'eroico comandante colonnello Pomarici, abbandonato a se stesso dai tedeschi nella depressione di El Cattara, si arrende dopo aver esaurite le munizioni e combattuto leoninamente fino allo stremo delle forze.
Nel disorientamento dei primi giorni di novembre nei quali Rommel aveva impartito l'ordine di ripiegare e da Berlino arrivavano quelli di resistere e di morire sul posto, nasce una grande incertezza ed in parecchi reparti una grande confusione. E' la fortuna di Montgomery tanto ingiusto nei giudizi sul soldato italiano quanto famoso per il suo cappotto, corto, allacciato sul davanti da grossi spaghi, che diventerà nell'immediato dopoguerra il pezzo forte invernale della gente bene di mezza Europa.
Solo la Folgore all'estremo sud dello schieramento ha le idee chiare su quanto sta per accadere ed è l'ultima ad abbandonare la lotta.
Il X Corpo d'Armata ricostituito con la Trieste, l'Ariete, la Bologna
la Trento e tutte le unità germaniche in fuga sui nostri automezzi è sopraffatto all'altezza di Fuka e l'olocausto di uomini esposti a tutte le offese che dall'amico hanno acqua se chiedono benzina e benzina se invocano acqua, ancor oggi colpisce e commuove; sono le parole di Nino Tramonti scritte nella sua aurea storia dei bersaglieri!
Così i poveri Battaglioni delle nostre Divisioni logorati da anni di guerra, un pò disgustati da ripetute e mai mantenute promesse di cambi di licenze, avviliti da un equipaggiamento e da un armamento ridicoli, cedono alla forza dopo infiniti atti di eroismo.
Il 2 novembre giunge a tutti i reparti l'ordine angoscioso e perentorio di ripiegare sopra una linea arretrata di quindici chilometri. La battaglia di El Alamein è giunta al suo epilogo.
Nomi di Reggimenti carichi di storia antica scompaiono accanto ai nuovi non meno gloriosi; sono le fanterie illustri della Pavia di vecchia origine sabauda, quelli della Brescia delle cinque giornate di Milano, quelli della Littorio, dell'Ariete, della Folgore, tutti si consumano, vecchi e nuovi in un destino di gloria! Così l'VIII Battaglione corazzato dopo una vicenda eroica di pochi giorni. Sorpreso dall'attacco inglese mentre presidia l'Oasi di Siwa con il III Gruppo corazzato del Nizza cavalleria ed un reparto esplorante tedesco, il Battaglione si sposta sul mare ma ritorna subito in linea per sorvegliare la depressione di Quattara; alle 8,30 del 6 novembre, i suoi avanzi travolti, sono catturati. Così l'Ariete, il 3, in brevi ore consuma i resti dei suoi carri, bare ardenti d'acciaio, contro i grossi calibri dei semoventi e delle autoblinde inglesi mentre gli innocui pezzi da 47/32 sparano a titolo puramente simbolico contro i grossi Sherman.
I bersaglieri ridotti a miseri Battaglioni ricordano le gesta compiute l'anno prima con Ugo Montemurro e piegano il capo alla sfortuna.
Anche la Trieste con il suo vecchio comandante La Ferla già bersagliere del 12° durante il primo conflitto mondiale alla Bainsizza, cede. Così la Divisione Giovani Fascisti diventata dei Bersaglieri d'Africa comandata ora dalla stupenda figura di soldato dieci volte decorato, Giuseppe Follini, il 2 novembre è ridotta a quattro Battaglioni della forza di Compagnie composte di pochi superstiti di Bir el Gobi e da bersaglieri raccogliticci.
Il 15 novembre scende il silenzio sulla tragica distesa sabbiosa di El Alamein e sul campo sconvolto dalle granate, sulle munizioni ammucchiate ai margini delle postazioni e sui cadaveri insepolti. Ventimila prigionieri italiani e diecimila tedeschi sono il bottino del nemico!
Ma il 7 il silenzio dura poco; i vincitori incalzano verso ponente, verso la Sirtica, sopra i miseri resti scampati all'apocalisse per stringerli in Tunisia in una nuova morsa di ferro mentre sulla vastità del fronte sconvolto calano gli avvoltoi a divorare i corpi dei vinti e dei vincitori che nella morte hanno trovato finalmente la pace e la fratellanza.
Incomincia ora quella affannosa ritirata che senza l'ausilio dei resti dei nostri disfatti Reggimenti si sarebbe conclusa molto prima in una nuova tragedia.
E' un travolgente ritorno per la terza volta sui propri passi a rivedere nuovamente le croci dei compagni di Tobruck, di Bengasi, di Agedabia. Sono gli avanzi del 7°, dell'8°, del 12° (il 9° non esiste più, è stato spazzato via dalla bufera tremenda), che si battono ancora contro gli inglesi, i neozelandesi, gli scozzesi, gli indiani, i polacchi, i francesi ed i sudanesi, e nella lotta versano ancora un grande contributo di sangue.
Il X Battaglione del 70 con Nicola Straziota in testa fa buona retroguardia da Tobruck a Marsa Matruh a passo Kalfaia ed ancora a lui spetta il privilegio del maggior numero di perdite.


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